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Visto che abbiamo cominciato questo nostro articolo da una base fondamentale come quella dell’evoluzione, nel campo vegetale forse ci sono pochi altri esempi migliori delle piante “grasse”: essi sono organismi viventi a tutti gli effetti che hanno operato su sé stessi cambiamenti molto profondi per adattarsi a vivere in ambienti davvero ostili, con condizioni di vita apparentemente impossibili per una pianta: praticamente niente acqua, sole fortissimo e diretto sempre, terreno arido e sabbioso. Eppure esse ci sono riuscite, perché tutti sanno che nei luoghi desertici caldi del pianeta Terra esse esistono eccome; diciamo immediatamente che il loro nome scientifico è piante succulente, la cui origine latina ci dice che al loro interno esse hanno dei “succhi”, in realtà una sorta di linfa che conserva a lungo le sostanze nutritive e che a sua volta è conservata all’interno di tessuti adatti (perciò vengono dette “grasse” nel linguaggio comune) nel loro corpo. Da quando abbiamo imparato a notarle esse sono state sempre lì, quindi magari è difficile pensare o immaginare come ci sono arrivate e perché; tutto è stato grazie ad una straordinaria evoluzione, che ha eliminato le fonti primarie di dispersione di acqua (le foglie), riducendone progressivamente la superficie fino a farle diventare spine ed “imparando” ad immagazzinare acqua per mesi e mesi, prendendone anche dalla comunque poca umidità notturna.
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L’astrophytum è una specie di pianta succulenta appartenente al genere Cactaceae, ovvero al genere più famoso in questo ambito: il Cactus è stato lanciato dai vecchi film western americani come simbolo dei deserti californiani (in cui si trova in abbondanza) ed erto a simbolo di tutte le piante grasse. Anche se il nome è poco italico e quindi poco fruibile, perciò non si conosce molto, l’astrophytum è probabilmente la pianta grassa più diffusa nelle nostre case: esso unisce dimensioni generalmente piccole con una grande capacità di sopravvivenza in varie condizioni, aggiungendo poi il fondamentale aspetto esteriore; abbiamo già più volte discusso di come per le piante da appartamento sia importante un aspetto estetico rilevante, e l’astrophytum si distingue perché ha delle costole sul corpo generalmente tozzo che, viste dall’alto, danno l’idea di una stella (“astro” nel nome), delle spine molto visibili (a seconda delle specie possono essere tante e piccole oppure poche e molto evidenti) e soprattutto riesce spesso a fiorire anche in appartamento, il più delle volte con uno o comunque con pochissimi fiori di una certa dimensione e dai coloro sgargianti.
Detto delle caratteristiche estetiche dell’astrophytum, non si può trascurare quanto di evolutivo c’è in esso e nella sua storia; perché in effetti non abbiamo detto tutto: ci sono alcune sottospecie di astrophytum che presentano spine così piccole e numerose da somigliare ad una pelliccia ed il loro elevato numero, in combinazione con la classica superficie della pianta, dona al tutto una certa somiglianza ad una generica pietra. Bene o male tutti si sono chiesti il perché, e ciò è presto intuibile se si pensa che nel deserto ci sono varie forme animali anche esse alla continua ricerca di acqua; dato che l’astrophytum e le altre piante grasse sono un serbatoio di liquidi, più di un animale avrà pensato ad assestare un bel morso anche per abbeverarsi. Ecco quindi spiegata la presenza delle spine (e non la totale scomparsa delle foglie) e l’aspetto simile a pietre. Abbiamo lasciato in ultimo il discorso sulla tecnica colturale dell’astrophytum perché è bene precisarlo ma ci pare una tra le cose più semplici del mondo: esse possono essere annaffiate (sempre con quantità discrete di acqua, davvero non sono abituate) anche una volta a settimana in estate ed una al mese in inverno e stanno benissimo alla luce del sole diretta .
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