Melo - Malus communis

Generalità

La storia del melo è molto antica; sembra che il suo centro d’origine sia localizzato in una

regione montagnosa del Sud-Est della Cina dove, tramite la propagazione delle specie Malus Sieversii, si sarebbe sviluppata la coltura del melo selvatico (Malus communis silvestris); ne sono stati ritrovati esemplari risalenti all’età della pietra in Svizzera, Austria e Svezia. Il melo fa parte della famiglia delle Rosaceae (sottofamiglia delle Pomoidee) e del genere Malus, comprendente una trentina di specie sia da frutto che ornamentali, spontanee delle aree temperate europee, asiatiche e del nord America. Malus communis, nativa dell’ovest dell’Asia e dell’Europa, è la specie da frutto principale, comprendente le sottospecie M. silvestris, a cui appartengono le cultivar da sidro molto diffuse in Francia e Germania, e Malus pumila, attribuibile ad incroci spontanei avvenuti tra una specie originaria dell’Asia centrale (M. Orientalis ) e il M. Sieversii. A quest’ultima sottospecie appartengono le seguenti varietà botaniche: domestica, alla quale appartengono molte varietà coltivate, paradisiaca (melo paradiso) e praecox gallica (melo dolcino), entrambe rappresentanti i progenitori dei portainnesti clonali della serie East Malling e Malling Merton. Altre specie impiegate come cultivar impollinatrici e nel lavoro di miglioramento genetico sono Malus baccata, di provenienza siberiana e molto resistente al freddo, e Malus floribunda, resistente alla ticchiolatura (principale parassita del melo); mentre Malus dasyphylla (melo selvatico dell’Italia) è la progenitrice delle mele renette, contraddistinte da un frutto appiattito ed un aroma particolare.

A livello mondiale i maggiori produttori di mele sono gli Stati Uniti d’America, mentre nell’ambito comunitario, Italia, Francia e Germania producono il 70% delle mele europee. Nell’emisfero australe Nuova Zelanda, Australia ed Argentina stanno assumendo molta importanza come produttori di mele e, vista la loro posizione geografica, sono in grado di fare una forte concorrenza alle mele europee frigoconservate, potendo offrire sui nostri mercati frutta fresca nel periodo primaverile-estivo. Nel nostro Paese la coltivazione del melo è concentrata per il 90% nelle seguenti regioni: Trentino Alto Adige, Emilia Romagna, Veneto, Campania e Piemonte.

Pianta di melo con frutti

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Caratteristiche botaniche

Il melo è un albero molto vigoroso e può raggiungere i 10 m di altezza, a causa della sua vigoria è abbastanza lento ad andare a frutto; è una specie caducifoglia che entra in riposo vegetativo durante l’inverno. Lo sviluppo è acrotono (le ramificazioni apicali prevalgono su quelle basali), con un habitus di crescita poco assurgente ed una chioma a forma di cupola.

Le radici sono superficiali e striscianti. Le gemme possono essere a legno e a fiore, le prime sono piccole ed appuntite mentre le ultime sono leggermente più grosse: all’epoca dell’inizio del rigonfiamento, in primavera, si nota la differenza; le gemme a fiore sono miste, in quanto originano foglie ed infiorescenze.

I rami sono di diversi tipi: la lamburda è un ramo molto corto e terminante con una gemma a fiore, il brindillo è un ramo esile dal diametro approssimativo di una matita, dalla lunghezza di una decina di centimetri ed è provvisto di gemme miste, i rami misti sono molto vigorosi dotati di gemme fruttifere e a fiore. Sulle lamburde di qualche anno, nei punti in cui erano inseriti dei frutti si forma una specie di borsa dalla quale si schiudono gemme a fiore da cui si originano altre lamburde; negli anni seguenti questo ramo fruttifero assume una forma a zampa di gallo.

Le foglie sono alterne, di un colore verde scuro, ovali, con margine seghettato ed apice appuntito; la pagina superiore è liscia con numerose lenticelle, quella inferiore è pelosa.

L’infiorescenza è un corimbo costituito da 4-9 fiori, dotato di una rosetta di foglie. Il fiori sono ermafroditi, formati da 5 petali di color bianco-rosato; il fiore centrale del corimbo è detto King flower: esso allega più facilmente e dà frutti meno soggetti a cascola e di maggiore pezzatura. La maggior parte delle cultivar del melo sono autosterili (il polline dello stesso fiore non svolge la fecondazione), quindi occorrono varietà impollinatrici. L’impollinazione è entomofila, svolta specialmente dalle api e da altri insetti pronubi.

Il frutto è un pomo, che può considerarsi un falso frutto in quanto solo una parte della struttura deriva dallo sviluppo dell’ovario; gran parte dei tessuti derivano dalla proliferazione del ricettacolo e in alcuni casi dello stesso peduncolo, nella cavità inferiore si nota la permanenza del calice. La buccia del pomo, o epidermide, assume colorazioni variabili dal giallo-oro, al verde intenso, dal rosso-fuoco al viola cupo; il colore può essere disposto a strisce, a chiazze oppure uniforme su tutta la superficie. Il mesocarpo o polpa, di color bianco o giallino, può essere acidula o dolce, acquosa o croccante, profumata e farinosa. L’endocarpo è costituito da 5 logge di consistenza cartilaginea (torsolo), in cui sono contenuti 1-2 semi, se il frutto deriva da un processo fecondativo, mentre nei frutti partenocarpici non si ha presenza di semi (frutti apireni). La parte edule del pomo comprende l’epidermide e la polpa.


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Fenologia, clima e terreno

Di seguito vengono descritte le fasi fenologiche più importanti del melo.

Gemma ferma: nel mese di gennaio le gemme sono chiuse e ricoperte di scaglie marrone scuro, la pianta è in riposo vegetativo.

Rottura gemme: le gemme si rigonfiano e mostrano una punteggiatura chiara sulle scaglie, sono visibili le scaglie interne, si verifica a marzo.

Orecchiette di topo: le gemme sono appena schiuse e le prime foglioline hanno l’aspetto che ne giustifica il nome; anche se le foglie non sono ancora emerse le loro punte superano di circa 10 mm le scaglie delle gemme.

Mazzeti affioranti: ad inizio aprile le gemme sono aperte e, tra le foglie, si intravedono i bottoni fiorali ancora chiusi.

Bottoni rosa: fase prima della fioritura in cui le gemme destinate a dare i fiori si presentano di colore rosa, i peduncoli dei bottoni fiorali si allungano, i sepali (simili a piccole foglie che stanno al di sotto dei petali, costituiscono il calice del fiore) si separano e lasciano intravedere i petali; in seguito avviene l’apertura del king flower.

Fioritura: avviene nel mese di aprile: tutti i fiori del corimbo sono completamente aperti. Il polline feconda l’ovario mediante un’impollinazione incrociata operata da insetti pronubi; è fondamentale che la fioritura dell’impollinatore e della varietà scelte siano più o meno contemporanee per aumentare la probabilità di fecondazione. Una volta verificatasi questa fase i petali cadono naturalmente.

Allegagione: è lo stadio in cui il fiore viene fecondato diventando un frutticino, che si ingrossa fino a raggiungere le dimensioni di 10-15 mm, quello centrale è leggermente più grosso degli altri; il melo ha una percentuale di allegagione del 10-12%.

Frutto noce: dopo l’allegagione i frutticini cominciano ad ingrossarsi per effetto di un’elevata divisione cellulare, raggiungendo nel mese di giugno una dimensione di 20-30 mm. I frutti comunque rimangono duri, con basso contenuto zuccherino ed elevata acidità.

Ingrossamento frutto: i frutti riprendono ad ingrandirsi per effetto della distensione cellulare, cominciando ad accumulare gli zuccheri, con una diminuzione dell’acidità e con inizio dell’idrolisi dell’amido.

Maturazione: i frutti hanno raggiunto le dimensioni massime, il colore tipico della cultivar di appartenenza ed il giusto equilibrio tra il contenuto zuccherino e l’acidità; a seconda dei gruppi varietali si protrae da fine luglio a ottobre.

Caduta foglie: si verifica tra i mesi di novembre e dicembre, terminata questa fase entra in riposo vegetativo fino alla primavera successiva.

Il melo predilige climi temperato-freddi e trova il suo ambiente ideale di crescita nelle regioni del nord Italia, sia in pianura che in collina, ed in tutto il nord Europa. La coltivazione in altura, anche fino a 900 m sul livello del mare, o in aree caratterizzate da forti sbalzi di temperatura fra giorno e notte favorisce, infatti, nelle varietà più diffuse, la colorazione del frutto e aumenta la croccantezza della polpa. Nell’Italia meridionale il melo non trova le migliori condizioni di vita, è coltivato in terreni freschi ed irrigabili, preferibilmente in zone collinari o montagnose. In montagna, nessitando di molta luce, andrà privilegiata l’esposizione a sud , quella a sud-est ed a sud-ovest è accettabile, mentre quella a nord è da sconsigliare. Va coltivato in terreni freschi, di buon spessore e senza problemi di ristagni idrici, ma, adeguando il portinnesto, si può coltivare nella maggior parte dei terreni, solo nei suoli troppo superficiali (franco di coltivazione minore di 40 cm), leggeri, pesanti, calcarei, acidi o alcalini ne è sconsigliata la coltivazione.

Il melo è resistente alle basse temperature invernali (fino a - 22, - 27 °C) e, fiorisce abbastanza tardi (in aprile), supera in genere le gelate tardive; comunque è bene evitare terreni bassi (es. fondovalle e conche) perché in queste situazioni si possono verificare ristagni di aria fredda che molte volte provoca la cascola dei fiori. Le aree con una certa ventilazione sono ottimali in quanto, i minori ristagni di umidità, non favoriscono lo sviluppo della ticchiolatura e la rugginosità dell’epidermide sui frutti.

Gran parte delle cultivar ha un fabbisogno in freddo (numero di ore necessarie, ad una temperatura generalmente inferiore a 7 °C da ottobre a marzo, per la rimozione della dormienza invernale) che si aggira intorno alle 800-900 UF (unità di freddo).

La necessità di acqua del melo è piuttosto elevata, si consideri che nel corso di un’annata la pianta necessita di 600 mm di pioggia, per cui di solito si ricorre all’irrigazione.


Caratteristiche delle cultivar

Le varietà del melo possono essere differenziate tra loro secondo diversi parametri che vengono descritti in seguito.

Nel melo le cultivar vengono distinte in base, all’habitus di crescita, in standard, che hanno le caratteristiche del melo comune (portamento poco assurgente e chioma ombrelliforme), e in spur, caratterizzato da un’elevata densità di lamburde, un ridotto sviluppo in altezza ed ampiezza, un portamento assurgente, una precoce entrata in produzione (colorano prima e più intensamente), una potatura di produzione ritardata e da una maggior alternanza di produzione.

Le varietà del melo hanno anche una diversa modalità di fruttificazione: prevalenza di lamburde (Red Delicious spur), prevalenza di brindilli e lamburde (Red Delicious standard, Stayman), prevalenza di brindilli e rami misti (Gala, Golden Delicious, Imperatore o Morgenduft, Granny Smith) e tutti i tipi di rami a frutto (Fuji, Braeburn).

I gruppi varietali si distinguono anche in base all’epoca di maturazione che può essere estiva (da fine luglio al termine di agosto), autunnale (da inizio a fine settembre) ed invernale (da inizio a fine ottobre).

Le cultivar estive sono: Gala (gruppo della Nuova Zelanda), Rubens e Sansa (è la più precoce); tra quelle autunnali, che rappresentano il 75% della produzione globale, i gruppi principali sono : Golden Delicious, Red Delicious e Jonagold; mentre le invernali sono le giapponesi Fuji, le neozelandesi Braeburn, le americane Granny Smith e Imperatore e la Annurca (antica cultivar campana che presenta fenomeni di alternanza di produzione).

Le mele “ticchiolatura resistenti” sono: Florina, Enova, Primiera, Golden Orange e Brina.

Le varietà Braeburn e Fuji hanno un’epoca di fioritura precoce, mentre è intermedia nel caso delle Gala, Golden Delicious, Red Delicious e Granny Smith; le ultime tre possiedono una buona capacità di impollinazione diversamente da Stayman e Renetta del Canada. Recentemente non si è più ricorso a cultivar specifiche, ma il ruolo di impollinatori è affidato ai meli da fiore ornamentali.

Le varietà del melo sono classificate secondo le schede pomologiche, nelle quali si descrivono la pezzatura (piccola per l’Annurca, media per le Golden e Red Delicious, grossa per l’Imperatore), l’omogeneità, la simmetria, la forma longitudinale e trasversale del pomo. I parametri della buccia sono il colore (giallo Golden Delicious, verde Granny Smith), il sovracolore (rosso Red Delicious) ed il tipo (ad esempio striato nel gruppo Fuji), lo spessore e la percentuale di rugginosità (Stayman).

La polpa è descritta dalla croccantezza (Braeburn, Fuji), consistenza (farinosa Imperatore), succosità, sapore dolce (Fuji) e sapore acido (Granny Smith).

Le schede pomologiche, inoltre, sottolineano parametri come la qualità (contenuto zuccherino, acidità e idrolisi dell’amido), le fisiopatie (Florina e Annurca sensibili alla Butteratura, Stayman è soggetta a spacco in prossimità della raccolta), la conservazione (poco, mediamente e molto serbevoli), il giudizio agronomico e quello merceologico.

Prevalentemente le mele vengono impiegate nel consumo fresco, altri utilizzi sono industriale (succhi, marmellate), da cottura e da sidro, quest’ultimo raramente prodotto in Italia.

Relativamente al consumo fresco, il consumatore richiede i seguenti requisiti: buona-ottima pezzatura e colore intenso, ottimi caratteri organolettici con polpa succosa, dolce, consistente e non farinosa; assenza di ruggine, danni da sole, spacco, fisiopatie, residui trattamenti di pieno campo o di frigorifero. Vista l’abbondante presenza sul mercato di cultivar autunnali le prospettive possono essere: aumentare la produzione di varietà estive già conosciute dal consumatore come il gruppo Gala, sfruttare le varietà locali resistenti alla ticchiolatura per ottenere un prodotto a basso impatto ambientale da commerciare con un bollino che ne certifichi la qualità.


Portainnesti

La moltiplicazione del melo può avvenire per seme e per parti vegetative nel caso dei portainnesti, mentre le cultivar vengono innestate sul portainnesto prescelto.

I portainnesti franchi sono ottenuti generalmente da seme di Red Delicious, le loro caratteristiche sono: elevata rusticità e vigoria, adattabilità a suoli anche umidi, eccezionale ancoraggio, assenza di virosi, resistenza al cancro del colletto (Agrobacterium tumefaciens), alla siccità ed al freddo, tardiva messa a frutto, attitudine pollonifera e disomogeneità degli alberi. In alternativa al franco dal recente passato sono presenti dei portainnesti in grado di controllare il vigore della pianta, di anticipare la messa a frutto e di aumentare la densità delle piante ad ettaro, migliorando la qualità dei frutti e l’esecuzione delle cure colturali.

Negli anni 50 è stata fatta una selezione dei migliori portainnesti franchi di melo dolcino e paradiso che sono stati moltiplicati per margotta di ceppaia (interramento di rami ancora attaccati alla pianta, la parte sotterranea emette radici avventizie e quella aerea nuovi germogli formando una nuova piantina) allo scopo di costituire dei cloni con caratteristiche costanti. Questi portainnesti clonali sono stati ottenuti nella stazione inglese di East Malling, i più importanti sono l’M 9 (il più debole), l’M 7 (medio vigore), l’M 16 (assai vigoroso) e l’M 26 (ottenuto dall’incrocio tra M 9 e M 16).

M 9: oggi è il portainnesto più diffuso che determina un vigore particolarmente ridotto, tanto da essere definito nanizzante, anticipa l’entrata in produzione al secondo anno, fornisce fruttificazioni abbondanti e di qualità, è affine con le altre varietà e possiede una scarsa attitudine pollonifera. Viene impiegato nel caso di impianti superintensivi, con varietà caratterizzate da un habitus di crescita standard; siccome le radici sono superficiali e poco sviluppate la pianta necessita di strutture di sostegno e di interventi localizzati come la fertirrigazione. È resistente al marciume del colletto, mentre risulta sensibile ad altri parassiti (cancro del colletto, afide lanigero, colpo di fuoco).

Un portainnesto con caratteristiche simili, però dotato di un miglior ancoraggio, un portamento basitono e di molti rami con un angolo d’inserzione particolarmente ampio è il MAC 9 (ottenuto in Michigan).

M 26: presenta un vigore intermedio tra M 9 ed M 7, fornisce produzioni abbondanti e di qualità, è indicato per impianti intensivi, si impiega prevalentemente per le varietà ad habitus di crescita spur di Red Delicious ed è disaffine con le cultivar Granny Smith e Imperatore. Necessita di strutture di sostegno, nonostante abbia un ancoraggio superiore a quello di M 9, e della fertirrigazione. Risulta particolarmente sensibile al colpo di fuoco, tollera l’afide lanigero e il marciume del colletto.

Successivamente la serie East Malling è stata incrociata con la varietà Northern Spy, resistente all’afide laniero (insetto che provoca la deformazione dei giovani rami), ottenendo una nuova serie di portainnesti clonali dotata di questa resistenza e denominata Malling Merton; i più importanti sono l’MM 106 e l’MM 111.

MM 106: è un portainnesto più vigoroso dell’M 26, anticipa l’entrata in produzione rispetto al franco, fornisce fruttificazioni abbondanti e di qualità, è indicato per impianti con un medio investimento di piante ad ettaro, si impiega specialmente con varietà ad habitus di crescita spur, non quelle standard perché è particolarmente vigoroso e risulta parecchio suscettibile al marciume del colletto.

MM 111: è più vigoroso rispetto a MM 106, anche se ciò si traduce in una produzione meno abbondante; vegeta bene sui terreni siccitosi e calcarei. Si utilizza su varietà spur in ambienti collinari o prealpini, infatti ha una buona resistenza alle basse temperature e al marciume del colletto.


Impianto

Gli ambienti migliori per la coltivazione del melo sono quelli vocati, in modo da ottenere frutti qualitativamente validi.

Soprattutto in aree collinari e pedemontane è raccomandato orientare i filari in direzione nord-sud per avere un’illuminazione dell’intera chioma e scegliere appezzamenti esposti a sud, sud-est e sud-ovest. In terreni di pianura, specialmente se tendenti all’argilloso, deve essere garantito una profondità di almeno 60-70 cm, assicurando lo smaltimento delle acque tramite delle scoline; mentre nel caso di pendenze superiori al 20% si ricorre alla sistemazione a ritocchino, che prevede l’orientamento dei filari secondo la massima pendenza ed ha il vantaggio di facilitare enormemente la meccanizzazione del meleto contribuendo allo stesso tempo al corretto deflusso delle acque. Lo svantaggio principale di questa sistemazione è l’erosione superficiale del suolo causata dalle acque che, seguendo la pendenza, portano a valle quantità significative di terreno; per limitare questo fenomeno è fondamentale inerbire l’interfilare.

Il materiale vivaistico deve essere formato da cultivar e portainnesto, è opportuno ricorrere a materiale geneticamente certificato ed è importante garantirsi dall'assenza del colpo di fuoco, che è un pericolosissimo parassita.

La scelta del portainnesto è una fase fondamentale nell’esecuzione dell’impianto in quanto da esso dipende la grandezza definitiva della pianta, l’ambientamento al terreno, il regolare sviluppo, la resistenza ai parassiti e alle malattie e una migliore impollinazione. Il portainnesto impiegato e la forma di allevamento determinano i sesti d’impianto e la densità di piante ad ettaro, con portainnesti nanizzanti si ottengono piante di taglia ridotta ad un investimento di 4-6000 ad ettaro, mentre se vigorosi le distanze d’impianto sono 4 X 3 m con una densità maggiore di 800 piante/ha.

Le cultivar devono avere idonee caratteristiche agronomiche, commerciali e di resistenza alle avversità climatiche e parassitarie più pericolose che possono verificarsi nell’ambiente considerato; nel caso di un frutteto familiare è meglio ricorrere alle vecchie varietà locali (Renette, Annurca, Gelata, Rosa Mantovana, Rosa Marchigiana, Decio, Rubra precoce, Mora di Cuneo e Wagner; va ricordato che ogni zona ha le sue cultivar), caratterizzate da un’elevata rusticità, perché hanno una minor necessità di trattamenti (in genere resistono alla Ticchiolatura) ed inoltre sono facilmente conservabili.

Le cultivar impollinatrici (meli da fiore) devono avere: una produzione di polline abbondante e fertile al fine di incrementare la fecondazione delle varietà impollinate, una ridotta dimensione in quanto ne viene inserita una ogni 10-15 piante sulla fila (per ottenere una buona produzione la distanza tra le cultivar da frutto non deve superare i 10-12 m) ed una ogni 3-4 filari, rusticità e resistenza alle malattie senza alternanza di fioritura; inoltre sono caratterizzate da frutti piccoli ed astringenti. Nel meleto, per una razionale impollinazione, è consigliabile inserire almeno due varietà diverse, una a fioritura contemporanea a quella da impollinare, l’altra a fioritura di poco anticipata allo scopo di garantire un sufficiente apporto di polline dall’inizio dell’antesi (fioritura). Il melo attira insetti pronubi, come le api, perché fornisce loro nettare e polline in abbondanza; in un meleto ci devono essere 4-6 arnie/ha (meglio di pronubi diversi) per assicurare una buona impollinazione; ovviamente, bisogna avere l’accortezza di non effettuare trattamenti durante il periodo della fioritura.

In precedenza alla preparazione dell’impianto va effettuato un campionamento del terreno per svolgerne l’analisi, la quale fornisce indicazioni utili per la formulazione della concimazione d’impianto, il tipo di lavorazione da eseguire, sul materiale da utilizzare e sulla eventualità di apportare ammendanti al suolo.

Una volta effettuate tutte queste scelte bisogna svolgere le operazioni precedenti la messa a dimora quali:

-livellamento ed eventuale spietramento del terreno;

-lavorazione a doppio strato tramite ripuntatore che incide il terreno, non ribaltando zolle, ad una profondità di 70-100 cm, seguita da una normale aratura di 30-50 cm in modo da non portare in superficie materiale inerte;

-fertilizzazione d’impianto con letame in dosi di 500-600 q/ha e concimazione con fosforo e potassio con almeno 150-200 kg/ha ( anidride fosforica e ossido di potassio) di entrambi;

-nel caso di terreni soggetti a ristagno idrico, formazione di una rete scolante mediante fossi;

-affinamento del terreno;

-tracciamento dei sesti e picchettatura.

La messa a dimora degli astoni generalmente viene eseguita in novembre in modo tale che possano beneficiare delle piogge autunnali; talvolta al nord Italia si preferisce piantumare a marzo per evitare danni da freddo invernali.

Le buche, circa 40 x40x40 cm, vengono realizzate a mano, con trivella montata su un trattore o da uno scavatore. Nel fondo della buca si può porre del concime circa 50-100 g per pianta e del terreccio costituito da sabbia fine di fiume, sostanza organica (ad esempio 20% di torba e 30% di letame). Dopo l’impianto è bene irrigare gli astoni con circa 5 litri di acqua.

In seguito, a seconda della forma d’allevamento, si costruisce l’impalcatura, posando i tutori di ferro per ogni piantina, piantando i pali e tirando i fili.

Nel caso dell’impianto di un frutteto familiare si utilizzano portainnesti franchi o dotati di un vigore medio alto perché, nonostante una tardiva entrata in produzione, garantiscono un ottimo ancoraggio al terreno, un apparato radicale ben sviluppato ed una buona resistenza alla siccità. Rispetto agli impianti fitti le dimensioni della buca sono 60 X 60 cm con una profondità di 70-80 cm; le piantine inoltre necessitano solo del sostegno di un paletto, limitatamente ai primi anni.

Tenere l’interfilare inerbito è importante perchè, oltre a favorire la riduzione dell’erosione (soprattutto relativamente alle sistemazioni a ritocchino), arricchisce il terreno di sostanza organica derivante sia dal rapido e naturale rinnovarsi delle radici delle erbe, sia dal materiale lasciato sul posto dalle operazioni meccaniche di trinciatura, permette lo svolgimento di eventuali pratiche colturali dopo una pioggia, cosa non possibile su un terreno argilloso lavorato.


Forme di allevamento

I sistemi impiegati in passato erano il vaso classico, il vaso trentino, costituito da due palchi di tre branche ciascuno, e la palmetta regolare a branche oblique. Al fine di facilitare le operazioni di raccolta e potatura attualmente si preferisce avere delle piante dell’altezza massima di 3 m.

Oggi le forme di allevamento impiegate sono il fusetto, lo spindel (in volume), la palmetta irregolare e l’ipsilon trasversale (appiattite); generalmente tutte necessitano dell’impalcatura (tutori di ferro, pali e fili).

Il fusetto è tipico dell’Europa centro-settentrionale, del Trentino Alto Adige e di alcune province padane, possiede uno scheletro costituito da un tronco libero da vegetazione nei primi 70-80 cm di altezza. Le branche primarie sono numerose, si inseriscono a spirale, con un portamento più o meno assurgente caratteristico dell’habitus di crescita spur, lungo l’asse principale, distanti tra loro 30-50 cm ed hanno una lunghezza decrescente andando dalla base alla cima; la pianta assume una forma conica ed ha un’altezza di 2,5-3 m e comincia a produrre frutti al terzo anno. I sesti d’impianto sulla fila sono da 1 a 1,5 m e tra le file variano da 3,5 a 4 m, con una densità compresa tra 1600 e 2800 piante/ha. Il fusetto migliora l’illuminazione della chioma, la qualità del prodotto e la facilità di esecuzione delle pratiche colturali; è la forma ideale con piante a vigore contenuto.

Lo spindel, a differenza del fusetto, è dotato di branche primarie che si inseriscono a spirale ed orizzontalmente (habitus di crescita standard) sull’asse centrale, sono distanti 50 cm tra loro ed hanno una lunghezza decrescente andando dalla base alla cima; la pianta è alta 2,5 m. I sesti d’impianto sono simili a quelli del fusetto.

L’utilizzo di portainnesti nanizzanti come l’M 9 ha consentito la realizzazione di impianti superintensivi, molto diffusi in Trentino Alto Adige con la forma a superspindel. Essa è caratterizzata da un asse centrale di 2,5 m d’altezza sul quale si inseriscono a spirale rami a frutto deboli come brindilli e lamburde, le piante cominciano a produrre già al secondo anno; questi impianti hanno una durata di 15 anni. I sesti d’impianto sulla fila sono da 0,5 a 0,8 m e tra le file variano da 2,5 a 3 m, con un investimento compreso tra 4000 e 8000 piante/ha.

La palmetta regolare a branche oblique, diffusa nella pianura padana, è costituita da un fusto sul quale, a 60 cm dal suolo, si inserisce il primo palco di due branche, disposte lungo il filare, esse hanno un angolo di inserzione di 45-55°. In tutto i palchi sono 3-4, il secondo è inserito a 100 cm dal primo, la distanza tende a diminuire tra i palchi successivi; la pianta è alta 4-4,5 m. Una variante di questa forma è la palmetta irregolare, caratterizzata dalla presenza di 8-10 branche inserite irregolarmente sul fusto e posizionate nella direzione del filare, l’entrata in produzione si ha al quarto anno. Il sesto d’impianto in genere è 4 X 3, con una densità pari a 800 piante/ha; questa forma di allevamento si attua con portainnesti dotati di buon vigore, in questo caso non si fa ricorso all’irrigazione.

L’ipsilon trasversale è costituito da due branche inclinate a V ed in direzione ortogonale rispetto al filare, l’angolo d’inclinazione rispetto alla verticale è di 25-30° con cultivar spur e di 40-45° nel caso di varietà standard; sulla struttura principale si inseriscono le branchette o direttamente le lamburde che produrranno i frutti. I sesti d’impianto sulla fila sono da 1 a 1,5 m e tra le file si aggirano intorno ai 5 m, con una densità compresa tra 1300 e 2000 piante/ha. Con questo sistema è possibile mantenere un sensibile incremento della produzione mantenendo un elevato standard qualitativo, però si riscontrano maggiori costi delle operazioni colturali.

La forma di allevamento idonea per un frutteto familiare è il vaso classico il cui scheletro è costituito da un tronco sul quale si inseriscono a 0,6-0,8 m d’altezza tre branche principali che hanno un’inclinazione di 35-45° rispetto al fusto e sono egualmente distanziate tra di loro; viene lasciata libera la parte interna al fine di ottenere un’ottima intercettazione della luce. Le branche primarie sono rivestite esternamente da vegetazione secondaria la cui lunghezza diminuisce dalla base fino alla cima in modo che si distribuiscano nello spazio per ricevere uniformemente la luce, su queste si sviluppano le branchette terziarie portanti le formazioni fruttifere; la produzione non si otterrà prima del 4-5° anno. La distribuzione della vegetazione su più assi consente una buona illuminazione ed un elevato volume della chioma che facilita il mantenimento di equilibrio tra attività vegetativa e riproduttiva, ottenendo frutti di ottima qualità. La distanza tra le piante non deve essere inferiore ai 5 m.


Operazioni di potatura

La potatura nel melo comincia quando le piante sono ancora giovani (potatura di allevamento); una volta formata la parte aerea, la pianta è adulta ed ha raggiunto un equilibrio tra vegetazione (produzione di legno) e riproduzione (produzione di fiori e frutti) che deve essere mantenuto con la potatura di produzione.

A partire dalla messa a dimora degli astoni fino al completamento della forma desiderata (2-4 anni) si esegue la potatura di allevamento, avente lo scopo di assicurare il più rapido sviluppo della struttura scheletrica del melo in rapporto al sistema prescelto, di favorire una miglior illuminazione delle foglie e di ottenere la più rapida messa a frutto delle giovani piante; non si effettuano solo tagli, ma anche legature e curvature che favoriscono lo sviluppo di germogli mediani. Durante i primi anni di vita le piantine necessitano di una massima superficie fogliare per ricostituire le riserve di carboidrati, di cimature per stimolare maggiormente le ramificazioni laterali (nel caso di cultivar spur cimare la parte apicale sottile dell’astone 20-30 cm per favorire lo sviluppo di germogli basali) ed gli eventuali frutti devono essere diradati in quanto sottraggono sostanze nutritive all’attività vegetativa. Nelle forme di allevamento in cui gli astoni sono provvisti di rami laterali guadagnano un anno relativamente alla formazione dello scheletro della pianta, nel caso di scarsa ramificazione effettuare delle incisioni sul fusto per impedire il deflusso della linfa a favore delle strutture poste al di sopra dell’incisione stessa.

La potatura di produzione consente il ricambio annuale di una quota adeguata di legno fruttificante.

Eseguita nel periodo invernale, per tutta la vita produttiva del frutteto, ha lo scopo di far raggiungere alla pianta il massimo potenziale produttivo, con una fruttificazione costante e una migliore qualità dei frutti, effettuando tagli di sfoltimento, di ritorno e di risanamento.

I primi sono eseguiti togliendo le parti vegetative interne, in eccesso ed esaurite; è importante mantenere una giusta distanza tra le branche per evitare ombreggiamenti e concorrenze in modo da avere una chioma ben illuminata ed arieggiata. I tagli di ritorno vanno eseguiti specialmente per abbassare piante che tendono a scappare verso l’alto formando una nuova cima e per raccorciare branche troppo lunghe; nel caso di branchette poco sviluppate è possibile eliminare porzioni vigorose assurgenti in modo tale da stimolare la crescita verso l’esterno del ramo sottostante (sgolatura). I tagli di risanamento hanno lo scopo di asportare le parti di pianta colpite gravemente dai parassiti in modo da sanificare la pianta. È molto importante considerare la modalità di fruttificazione delle varietà; quelle che producono quasi esclusivamente sulle lamburde, come le Red Delicious spur, necessitano di pochi interventi in fase di allevamento. Nel caso in cui le lamburde invecchiate si aggirino intorno al 10% rispetto al totale, le piante sono equilibrate, quando la percentuale sale sopra il 20% si deve intervenire potando per stimolare la formazione di lamburde giovani che portano i frutti migliori; nelle varietà spur, un’eccessiva percentuale di lamburde invecchiate (zampe di gallo) può provocare fenomeni di alternanza di produzione. Nel caso di varietà, come le Golden Delicious, che fruttificano su formazioni fruttifere lunghe mediante la potatura si deve mantenere un equilibrio tra rami di un anno (rami misti e brindilli) e lamburde, a vantaggio dei primi di circa il 30 %.

In caso di piante di melo con eccessivo vigore, oltre alla potatura di produzione, si rende necessario un intervento di potatura verde, tra maggio e giugno, per eliminare i rami più vigorosi (succhioni) presenti alla sommità della pianta o inseriti all’interno della chioma in quanto troppa vegetazione causa cascola dei frutti, e per diradare i pomi in eccesso.

Nel melo quest’ultima pratica è a volte necessaria per evitare negative ripercussioni sulla qualità dei frutti e sullo sviluppo delle gemme a fiore, una fruttificazione esagerata inoltre interferisce rallentando la crescita dei germogli, che faticano a lignificare e risultano più sensibili ai parassiti.

È fondamentale mantenere un giusto rapporto tra foglie e frutti, in genere 30-40 foglie per frutto (nel caso di rami misti non più di 3-4 mele/ramo), al fine di ottenere pomi di migliore pezzatura; l’obiettivo è quello di preservare il frutto centrale perché è più grosso ed è meno soggetto a cascole pre-raccolta rispetto agli altri. Il diradamento dei frutti manuale è da svolgere prima della fase di frutto noce ed è impegnativo e costoso (oltre 100 h/ha).

Può essere usato anche il diradamento chimico che nel melo ha un elevato livello di riuscita; si interviene quando la dimensione del frutto centrale del corimbo raggiunge i 10-12 mm (due settimane dopo la fioritura). Negli anni di carica produttiva, oltre al diradamento chimico è bene intervenire manualmente togliendo i frutti in eccesso poco prima dell’estate.


Concimazione

Con una buona concimazione la pianta assorbe le sostanze nutritive necessarie per ottenere una buona produzione.

La concimazione va effettuata in base alla presenza di elementi nutritivi nel suolo, dell’età degli alberi e del numero di piante ad ettaro; se quest’ultimo è elevato la somministrazione dei nutrienti deve essere più accorta rispetto agli impianti meno fitti perché le radici sono poco sviluppate.

Tramite la concimazione sono apportati al suolo i principali elementi minerali, fondamentali per lo sviluppo e la produzione delle piante, quali l’azoto, il fosforo, il potassio ed il calcio; di questi bisogna reintegrare le asportazioni annuali, rispettivamente 60-100 kg/ha, 20-35 kg/ha, 70-150 kg/ha e 175-190 kg/ha (riferite ad un meleto che produce 300-400 q/ha).

Eccessi di azoto determinano un’esagerata crescita vegetativa, influendo negativamente sui germogli che risultano suscettibili alle avversità ambientali ed ai parassiti e sui frutti la cui maturazione può anche essere posticipata. La mancanza di azoto provoca un ridotto sviluppo vegetativo, i frutti, inoltre, assumono la colorazione in anticipo, sono più piccoli e le produzioni sono meno abbondanti.

Nei primi anni dopo l’impianto la concimazione deve favorire lo sviluppo delle piante per completare rapidamente la struttura della pianta, senza però indurre eccessivamente la potenzialità di vegetazione perché ciò ridurrebbe la lignificazione dei germogli e ritarderebbe l’entrata in fruttificazione degli alberi.

In questa fase va dato solo l’azoto, somministrandolo alla dose di 50 g per pianta in almeno due interventi durante il periodo primaverile, localizzandolo intorno alla pianta senza contatto col fusto al fine di non provocare ustioni.

In fase di produzione la somministrazione di azoto va frazionata in due interventi: a fine estate, dopo la raccolta, per favorire l’accumulo delle sostanze di riserva che verranno utilizzate per sostenere dalla successiva ripresa vegetativa fino ad allegagione avvenuta; in prossimità dello stadio dei bottoni rosa perchè la pianta assorbe ed utilizza efficacemente l’azoto presente nel terreno solo nel periodo di formazione e maturazione dei frutti.

Il fosforo può scarseggiare in suoli con calcare attivo superiore al 5% in quanto tende ad essere insolubilizzato, in questi casi si interviene annualmente con dosaggi di poco superiori alle asportazioni in autunno (insieme al potassio).

Il potassio è l’elemento nutritivo presente in maggiore quantità nei frutti ed ha effetti positivi sulla qualità del prodotto finale, come il gusto, il colore e la pezzatura; i terreni argillosi in genere sono ben riforniti di questo elemento. Nel caso di suoli sciolti la concimazione fosfo-potassica si effettua a fine febbraio per evitare fenomeni di lisciviazione a carico del potassio.

Eccessi di potassio possono provocare problemi di conservazione e favorire la butteratura amara (Bitter Pit), che provoca la formazione di pareti cellulari molto deboli collassando con facilità, a causa della competizione per l’assorbimento con il calcio; una carenza di quest’ultimo elemento causa questa fisiopatia.

Il calcio è un elemento poco mobile all’interno della pianta che viene per la maggior parte assorbito dal frutto nelle prime sei settimane successive alla fioritura; in terreni calcarei questo elemento è presente in abbondanza. Per aumentare il contenuto di calcio nei frutti, al fine di prevenire la butteratura amara, è importante adottare una serie d’interventi agronomici finalizzati ad avere uno sviluppo vegetativo della coltura più lento, in maniera che il calcio assorbito dalle radici possa essere trasferito ai frutti, man mano che questi s’ingrossano.

La mancanza di microelementi, come il boro, provoca il disseccamento dei fiori, la deformazione dei frutti con screpolature e loro prematura caduta. Mediante la concimazione fogliare si possono integrare i microelementi ai nutrienti principali che hanno un’azione fertilizzante pronta, essendo disciolti in acqua ed assorbiti dalle foglie. Questa modalità di somministrazione, integrata alla normale fertilizzazione eseguita al terreno, è particolarmente utile in casi di clorosi e sofferenza delle piante.


Irrigazione

Questa pratica è adottata nei meleti in cui si impiegano portainnesti clonali di medio e debole vigore; nel melo determina un anticipo della messa a frutto e, in seguito, migliora la quantità e la qualità delle produzioni. L’irrigazione gestita correttamente influisce positivamente sulla conservazione delle mele. Il melo risente dello stress idrico durante l'intero ciclo vegetativo, sopratutto quando viene tenuto inerbito; la maggior richiesta idrica si ha tra la metà di giugno ed i primi di settembre. E’ buona norma sospendere l’irrigazione almeno un mese prima del raccolto, in modo di ottenere una produzione con frutti più saporiti, meno acquosi e più conservabili. La quantità d’acqua da distribuire dipende dall’apparato radicale dei portainnesti: nel caso di radici poco sviluppate bisogna sostenere la pianta con un’irrigazione frequente, utilizzando poca acqua per volta, mentre quando le radici sono profonde ed espanse si interviene con una minor frequenza e con una maggior quantità idrica per volta. La quantità d’acqua da distribuire varia anche a seconda dell’habitus di crescita delle cultivar; quelle spur, ad esempio, rispetto alle standard, hanno una messa a frutto più precoce per cui necessitano di apporti idrici maggiori e più frequenti. I sistemi d’irrigazione più diffusi sono quelli localizzati a goccia e a spruzzo.

Nel caso degli impianti a goccia quasi tutta l’acqua somministrata viene assorbita dalle piante, evitando la lisciviazione delle sostanze nutritive, la bagnatura della vegetazione e riducendo la crescita delle erbe infestanti.

La distanza dei gocciolatori lungo l’ala gocciolante varia in funzione del tipo di terreno e del sesto d’impianto. Nei terreni sciolti e sabbiosi con abbondante scheletro è necessaria una minore distanza fra i gocciolatori. Inoltre si può ricorrere alla fertirrigazione per rigenerare le caratteristiche nutritive del terreno esplorato dall’apparato radicale della pianta in una zona ristretta e limitata con conseguente esaurimento della capacità nutrizionale.

L’irrigazione a spruzzo prevede la stessa tecnica dell’impianto a goccia con ali spruzzanti in questo caso posate sui tiranti di sostegno dei filari.

Lo spruzzatore può essere collocato sia sopra che sottochioma, in funzione delle esigenze specifiche. Posizionato soprachioma ha anche un effetto climatizzante, ma con notevoli perdite di acqua per intercettazione fogliare ed evaporazione, ma ha il vantaggio che può funzionare come sistema antibrina, molto utile soprattutto nella pianura padana e nelle zone di fondovalle in quanto l’acqua, con temperature vicine a 0 °C, ghiaccia svolgendo un’azione protettiva contro eventuali ristagni di area fredda in prossimità della fioritura.


Raccolta

Se le mele sono raccolte alla giusta epoca di maturazione, manifestano una miglior colorazione, eccellenti caratteristiche organolettiche e di conservazione. L’epoca migliore per la raccolta è individuata facendo riferimento a diversi indici di maturazione. I più utilizzati sono: la durezza della polpa, il residuo secco rifrattometrico (RSR, esprime il contenuto zuccherino), determinato con un rifrattometro; il contenuto in amido della polpa, il colore di fondo della buccia, che varia a seconda delle cultivar e l’acidità totale. Se si ricorre all’utilizzo contemporaneo di più indici di maturazione, è più facile individuare l’esatto momento della raccolta. E’importante sottolineare come i vari indici dipendono dalla cultivar, come ad esempio il colore di fondo della buccia per le mele Golden Delicious le Gala.

Una raccolta eseguita anticipatamente peggiora la conservazione dei frutti, con l’insorgenza di butteratura amara ed influisce negativamente sulla qualità (colore e sapore); nel caso di raccolte posticipate si instaurano fenomeni di vitrescenza.

Nel melo la raccolta rappresenta l'operazione più costosa, si può raccogliere manualmente oppure con carri agevolatori, soprattutto con forme d’allevamento dotate di un’alta parete produttiva, in primis la palmetta ma anche il fusetto.

In entrambi i casi, i frutti raccolti vengono posti in cassette posizionate su bancale (pallet) o, meglio, in cassoni che vengono sollevati da appositi macchinari montati su un trattore; un bravo raccoglitore ha una resa media oraria di frutti raccolti pari a 150-200 kg/h. Anche la fase della raccolta necessita di particolari attenzioni, in quanto i frutti sono delicati, per cui bisogna fare attenzione a non provocare ammaccature, negative dal punto di vista qualitativo. Alcune cultivar come quelle del gruppo Gala Red Delicious e Fuji, che maturano scalarmente, vanno raccolte in almeno 2-3 soluzioni per ottenere mele di qualità uniforme; la raccolta non va effettuata subito dopo una pioggia in quanto l’umidità provoca marcescenza dei frutti. Una volta distaccate dalla pianta, le mele devono essere trasportate in magazzini per la conservazione, o alle industrie per essere trasformate.


Melo - Malus communis: I principali parassiti ed il loro controllo

I principali parassiti del melo, con i danni da essi provocati e le eventuali modalità di contenimento, si possono sintetizzare come segue.

Ticchiolatura del melo (Venturia inequalis): si tratta di un fungo che colpisce le foglie, i germogli ed i frutti; favorito da piogge, umidità elevata e bagnature prolungate. Inizialmente sulle foglie si notano macchie appena percettibili che tendono a confluire tra loro, alla fine del ciclo si rendono evidenti ricoprendosi di una muffa brunastra polverulenta. L’attacco sui frutticini è generalmente grave in quanto su di essi si manifestano tacche brunastre che necrotizzano e formano uno strato suberoso, il quale impedisce l’accrescimento per distensione cellulare del frutticino, soggetto a lacerazioni ed a successive deformazioni. Talvolta la malattia può verificarsi anche sul frutto in conservazione. Il monitoraggio del patogeno è effettuato mediante apparecchi come il “captaspore” che individuano l’infezione primaria del fungo (primo volo primaverile delle spore). Per contrastare la ticchiolatura si ricorre all’impiego di fungicidi di copertura (prodotti a base di rame), dotati di un’azione preventiva, agiscono all’esterno dei tessuti e non sono in grado di bloccare le infezioni in atto, e di fungicidi sistemici, che esplicano un’azione curativa: vengono infatti assorbiti dalla pianta, evitando il dilavamento e traslocati in tutte le sue parti. Generalmente si utilizzano insieme in quanto i prodotti sistemici; se applicati da soli o con una frequenza esagerata, possono instaurare fenomeni di resistenza nel fungo. Per stabilire le epoche d’intervento si ricorre ad una tabella (tabella di Mills) che, utilizzando come parametri le ore di bagnatura della vegetazione e la temperatura, indica il grado di attacco (grave, moderato, leggero) dell’eventuale infezione del fungo. Dalla fase di rottura delle gemme fino a quella di mazzetti affioranti si eseguono 1-2 trattamenti con i polisolfuri che, oltre a combattere le cocciniglie ed altri insetti, ha un effetto disinfestante preventivo nei confronti della ticchiolatura. Dalla prefioritura fino allo stadio di frutto noce si interviene utilizzando fungicidi di copertura e sistemici in prossimità di ogni evento infettante.

I trattamenti vanno effettuati entro pochi giorni dall’inizio della pioggia; in caso di precipitazioni abbondanti si esegue un intervento a settimana in quanto esse diminuiscono la persistenza del prodotto. Nel caso fosse necessario intervenire dopo la fase di frutto noce si ricorre a prodotti di copertura perché quelli sistemici non vengono assorbiti dai frutti. Il modo migliore per limitare questa malattia è l’impiego di varietà resistenti ed essa, ove possibile.

Oidio o mal bianco del melo (Podosphaera leucotricha): è un fungo che colpisce i giovani germogli, le foglie, i fiori ed i frutticini; favorito da temperature comprese tra 10 e 30 °C, umidità elevata ed assenza di bagnatura. I germogli attaccati si presentano ricoperti da una polverina biancastra (anche sulle foglie), con conseguente clorosi e necrosi; se l’infezione avviene su giovani piantine il danno è molto grave a causa della perdita dei germogli. I frutticini, colpiti raramente, hanno un accrescimento, una colorazione ed una maturazione irregolare, inoltre manifestano una rugginosità della buccia. La miglior strategia da adottare per il controllo del fungo è l’eliminazione di rametti con gemme infette (sono più piccole con la punta più evidente, costituiscono un notevole potenziale d’inoculo) con la potatura invernale e dei germogli colpiti in primavera. Il patogeno va tenuto sotto controllo dalla fase di mazzetti affioranti fino a luglio-agosto; anche in questo caso si ricorre a fungicidi di copertura (zolfo bagnabile) e sistemici effettuando i trattamenti abbinando prodotti antiticchiolatura ed antioidici in quanto si mescolano bene tra loro ed entrambe le malattie possono colpire nello stesso periodo.

Marciume del colletto (Phytophthora cactorum): è un fungo che colpisce principalmente il colletto e le radici; favorito da piccole ferite o lesioni nelle quali penetra passivamente, elevata umidità, prolungate condizioni di asfissia del terreno e ristagni idrici. La chioma tende a spogliarsi in piena estate, sul colletto e sulle radici si manifestano imbrunimenti e necrosi bruno-rossastre che conducono a deperimenti progressivi e, nel giro di qualche anno, alla morte della pianta. Per limitare la presenza del fungo, scegliere portainnesti tendenzialmente resistenti come M 9 e M 26 e favorire un rapido sgrondo delle acque mediante la formazione di fossi; negli impianti ornamentali, come i viali cittadini, evitare condizioni di asfissia prolungata tramite marciapiedi grigliati che consentono una buona areazione intorno al colletto. Nei primi stadi della malattia si possono fare trattamenti disinfettanti con prodotti rameici o specifici.

Cancro delle pomacee (Nectria galigena): fungo che attacca le giovani branche ed i rami delle piante; favorito da elevata umidità, da microlesioni dovute al distacco delle foglie e da ferite causate da insetti, grandine o potatura. Le zone corticali delle parti legnose colpite inizialmente si disidratano, in seguito necrotizzano con formazione di vere e proprie fessurazioni con messa a nudo dei tessuti sottostanti (cancri longitudinali). La reazione della pianta provoca rugosità nei tessuti infetti: il cancro può estendersi a tutta la circonferenza e causa un indebolimento della pianta che risulta maggiormente suscettibile ad altre malattie. Con la potatura invernale vanno eliminati i rami colpiti; il periodo a maggior rischio d’infezione è l’autunno, durante il quale cadono le foglie e possono verificarsi grandinate. Si impiegano prodotti rameici eseguendo due interventi: il primo a metà delle foglie cadute ed il secondo a completa defogliazione. Un trattamento effettuato ad inizio primavera tra la rottura delle gemme e la fase di orecchiette di topo, oltre a contrastare la ticchiolatura e le cocciniglie, esplica un’azione disinfettante sulla Nectria.

Marciume lenticellare o bollato del frutto (Gloeosporium album): fungo che si instaura sui frutti durante la conservazione. L’infezione avviene in campo con i frutti ancora attaccati alla pianta, soprattutto con rugiade e piogge durante la raccolta. Sul frutto si manifestano delle aree di color nocciola, che assumono una consistenza molliccia. La lotta chimica si effettua in pre-raccolta (due trattamenti a metà-fine estate con prodotti sistemici) ed in post-raccolta (conservazione dei frutti in atmosfera controllata).

Carpocapsa (Cydia pomonella): si tratta di un insetto che colpisce i frutti; compie 2-3 generazioni all’anno, soltanto una in alcune zone dell’Europa centro-settentrionale. Le larve, in qualsiasi momento dell’accrescimento e della maturazione del frutto, scavano gallerie nella polpa e, una volta uscite, attaccano altri pomi; quelle di 2^ e 3^ generazione sono molto pericolose in quanto operano da luglio a settembre-ottobre a seconda degli ambienti. Il danno provocato dalle larve è la cascola dei frutti colpiti che non possono essere commercializzati. Il monitoraggio si esegue a fine aprile ponendo 2-3 trappole di feromoni sessuali ad ettaro; se vengono catturati più di due maschi adulti per trappola per settimana si può intervenire con prodotti chimici, soprattutto per contrastare le larve di 2^ e 3^ generazione. È opportuno ricorrere agli insetticidi solo se necessario perché tendono a favorire le infestazioni di acari fitofagi, eliminando i nemici naturali. Il metodo della “confusione”, che si basa sull’impiego di erogatori di feromoni aventi lo scopo di ridurre gli accoppiamenti tra maschi e femmine adulti, ha dato risultati interessanti. In natura sono presenti nemici naturali della Carpocapsa, tra cui delle minuscole vespe che depongono uova nella pupa (fase di passaggio tra la larva e l’adulto) dell’insetto nutrendosene.

Cocciniglia di San Josè (Comstockaspis perniciosa): è un insetto che si insedia su parti legnose, foglie e frutti; compie tre generazioni all’anno. Sulle parti legnose si notano alterazioni cromatiche rossastre che conducono a progressivi deperimenti e disseccamenti dei rami. Sui frutti si manifestano tante macchie rossastre, al cui centro c’è un puntino grigio, sparse su tutta la superficie o concentrate in alcuni punti; queste chiazze determinano il deprezzamento e l’esportazione verso l’Europa, dove la presenza del fitofago non è ancora esagerata. Gli interventi chimici sono obbligatori perché questo insetto può compromettere la commercializzazione della frutta colpita anche con pochi puntini. Il primo trattamento si esegue alla rottura delle gemme con i polisolfuri, distribuiti solo in questa fase perché sono tossici per la vegetazione, se già presente; in corrispondenza dell’uscita degli stadi giovanili di ogni generazione intervenire tempestivamente con gli esteri fosforici. Un parziale controllo di questo fitofago può essere esercitato dai nemici naturali, ad esempio le coccinelle.

Afide grigio del melo (Dysaphis plantaginea): si tratta di un insetto che attacca germogli, foglie, fiori e frutticini; compie 3-5 generazioni all’anno. Le punture dell’afide provocano accartocciamenti fogliari, deformazioni, arresto dello sviluppo sui germogli e malformazione sui frutticini in fase di allegagione con possibile cascola, altrimenti rimangono piccoli e sono commercialmente deprezzati. Emettono inoltre abbondanti secrezioni zuccherine (melata) che favoriscono l’insorgenza di alcuni funghi (fumaggine) i quali riducono l’efficienza fotosintetica. L’afide grigio è molto pericoloso anche in presenza molto ridotta; in prefioritura bisogna intervenire chimicamente alla comparsa delle femmine fondatrici, che danno vita alle forme giovanili. Fino alla fase di frutto noce si eseguono dei campionamenti sui germogli, il trattamento si effettua anche con la sola presenza di una o poche forme mobili, o con danni da melata. I nemici naturali di questo afide sono molti, però non riescono a controllarne la popolazione a causa della bassissima soglia di danno; in estate è meglio utilizzare principi attivi con un basso grado di tossicità.

Ricamatrice delle pomacee (Pandemis cerasana): è un insetto che colpisce germogli, foglie e frutticini; compie due generazioni all’anno. Le larve causano erosioni sui germogli che possono andare incontro alla completa distruzione, i frutticini possono andare incontro a cascole oppure ad accrescimenti irregolari. Sui frutti già ingrossati si notano delle erosioni superficiali somiglianti a ricami, in seguito queste suberificano e rimane il segno dell’attacco. In prefioritura, è bene trattare al superamento della soglia del 20% di germogli infestati. Il monitoraggio si effettua a maggio ponendo una trappola di feromoni sessuali ad ettaro; se in una o due settimane si catturano più di 15 adulti (più di 30 se si considerano altri insetti ricamatori) e se i germogli infestati sono più del 4% si interviene con prodotti chimici o col Bacillus thuringiensis contro le larve. I nemici naturali di questo insetto sono molti, però non riescono a controllarne la popolazione al di sotto della soglia di danno.

Rodilegno rosso (Cossus cossus) e giallo (Zeuzera pyrina): sono insetti che scavano gallerie nelle parti legnose della pianta, sono pericolosi soprattutto su giovani impianti; il rodilegno rosso compie una generazione ogni tre anni, mentre quello giallo ne completa una ogni uno o due anni. Un metodo adottato per il controllo di questi insetti è quello della cattura massale, che consiste nel mettere delle trappole innescate con feromoni sessuali (dieci ad ettaro) mediante le quali vengono catturati i maschi che non fecondano le femmine. Nel caso di attacchi già in atto si può infilare del filo di ferro nelle gallerie per eliminare le larve, altrimenti vengono insufflati sotto forma di aerosol degli insetticidi nelle aperture, che vengono chiuse con dello stucco. Relativamente alla lotta microbiologica è possibile impiegare, in prossimità dei punti colpiti, dei nematodi (appartenenti al genere Neoaplectana) che ricercano attivamente le larve attaccandole; sono stati sperimentati anche funghi come la Beauveria bassiana che parassitizzano i rodilegno.


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