Pero - Pyrus communis

Generalità

Il pero appartiene alla famiglia delle Rosaceae, alla sottofamiglia delle Pomoidee ed al genere Pyrus, comprendente una trentina di specie diffuse in tutto il mondo. La specie Pyrus communis è tipica dell’Europa e si divide nelle subspecie sativa, il pero coltivato e piraster, il pero selvatico che è presente in tutta Italia. Di seguito vengono brevemente descritte le specie da frutto di origine orientale.

Pyrus betulaefolia: coltivato in Cina, è una pianta vigorosa e di grosse dimensioni, nel nostro Paese è utilizzato come portainnesto.

Pyrus calleyrana: coltivato in estremo oriente ed in America, resiste agli inverni freddi ed al cancro batterico.

Pyrus serotina: coltivato in Cina e Giappone, infatti è anche chiamato pero cinese e giapponese o pero nashi; caratterizzato da frutti di forma sferoidale; le principali cultivar sono Kieffer, Pinapple e Garber.

Pyrus ussuriensis: coltivato in Cina, Corea, Russia e Stati Uniti è molto resistente alle basse temperature invernali.

A livello mondiale il maggior produttore di pere è la Cina, seguita dall’Italia, la cui produzione è diminuita di oltre il 30% dal 1980 al 2003, e dagli Stati Uniti. A livello europeo il nostro Paese precede Spagna, Polonia, Olanda, Francia e Germania. In Italia la coltivazione del pero è concentrata prevalentemente nelle seguenti regioni: Emilia-Romagna (soprattutto nell’area compresa tra le province di Modena, Bologna e Ferrara), Veneto, Sicilia, Lombardia, Piemonte e Campania.

Albero di Pero

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Caratteristiche botaniche

Il pero è un albero molto vigoroso e, in condizioni molto favorevoli, può raggiungere i 15-18 m di altezza; a causa della sua vigoria è abbastanza lento ad andare a frutto. La chioma assume spontaneamente la forma piramidale; è una specie caducifoglia che entra in riposo vegetativo durante l’inverno. Nella pianta adulta la corteccia del tronco presenta profonde e caratteristiche screpolature. Il legno è duro ed in passato era utilizzato in ebanisteria, oggi non più perché le nuove forme di allevamento contengono lo sviluppo del tronco.

Le gemme possono essere a legno e a fiore: le prime sono piccole ed appuntite mentre le ultime sono leggermente più grosse; all’epoca dell’inizio del rigonfiamento, in primavera, si nota la differenza. Le gemme a fiore sono miste, in quanto originano foglie ed infiorescenze e raramente si riscontrano in rami di un anno (soltanto su varietà molto produttive).

I rami sono di diversi tipi: la lamburda è un ramo molto corto e terminante con una gemma a fiore, il brindillo è un ramo esile dal diametro approssimativo di una matita, dalla lunghezza di una decina di centimetri ed è provvisto di gemme miste, i rami misti sono molto vigorosi dotati di gemme vegetative e a fiore. Sulle lamburde di qualche anno, nei punti in cui erano inseriti dei frutti si forma una specie di borsa dalla quale si schiudono gemme a fiore da cui si originano altre lamburde; negli anni seguenti questo ramo fruttifero assume una forma a zampa di gallo.

Le foglie sono alterne, inserite su nodi ravvicinati, lungamente picciolate, lisce, di forma ovale, di colore verde scuro sulla pagina superiore mentre quella inferiore è verde chiara.

L’infiorescenza è costituita da un corimbo di 7-10 fiori, provvista di una rosetta di foglie. Il fiore è ermafrodita, formato da 5 petali bianchi; il fiore centrale del corimbo schiude per ultimo (nel melo schiude per primo) ed è detto King flower. La maggior parte delle cultivar del pero sono autosterili (il polline dello stesso fiore non svolge la fecondazione), quindi occorrono varietà impollinatrici. L’impollinazione è entomofila, svolta specialmente dalle api e da altri insetti pronubi.

Il frutto è un pomo di forma variabile a seconda delle cultivar, che può considerarsi un falso frutto in quanto solo una parte della struttura deriva dallo sviluppo dell’ovario; gran parte dei tessuti derivano dalla proliferazione del ricettacolo e in alcuni casi dello stesso peduncolo, nella cavità inferiore si nota la permanenza del calice. La buccia del pomo, o epidermide, assume colorazioni rosse, gialle, verdi e marrone-ruggine ; il sovracolore può essere assente, rosa, rosso acceso o rosso scuro. Il mesocarpo o polpa può essere croccante, fondente, burrosa, setolosa e può presentare delle inclusioni di tipo pietroso dette sclereidi. L’endocarpo è costituito da 5 logge di consistenza cartilaginea (torsolo), in cui sono contenuti 1-2 semi, se il frutto deriva da un processo fecondativo, mentre nei frutti partenocarpici non si ha presenza di semi (frutti apireni). La parte edule del pomo comprende l’epidermide e la polpa.


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Fenologia e clima

Di seguito vengono descritte le fasi fenologiche più importanti del pero.

Gemma ferma: nel mese di gennaio le gemme sono chiuse e ricoperte di scaglie marrone scuro, la pianta è in riposo vegetativo.

Rottura gemme: le gemme si rigonfiano e mostrano una punteggiatura chiara sulle scaglie, sono visibili le scaglie interne; si verifica ad inizio marzo.

Orecchiette di topo: le gemme sono appena schiuse e le prime foglioline hanno l’aspetto che ne giustifica il nome; anche se le foglie non sono ancora emerse le loro punte superano di circa 10 mm le scaglie delle gemme.

Mazzeti affioranti: alla seconda decade di marzo le gemme sono aperte e, tra le foglie, si intravedono i bottoni fiorali ancora chiusi.

Bottoni rosa: fase prima della fioritura in cui le gemme destinate a dare i fiori si presentano di colore rosa, i peduncoli dei bottoni fiorali si allungano, i sepali (simili a piccole foglie che stanno al di sotto dei petali, costituiscono il calice del fiore) si separano e lasciano intravedere i petali; in seguito avviene l’apertura dei fiori (per ultimo il king flower).

Fioritura: avviene nella 1-2^ decade di aprile: tutti i fiori del corimbo sono completamente aperti. Il polline feconda l’ovario mediante un’impollinazione incrociata operata da insetti pronubi; è fondamentale che la fioritura dell’impollinatore e della varietà scelte siano più o meno contemporanee per aumentare la probabilità di fecondazione. Una volta verificatasi questa fase i petali cadono naturalmente.

Allegagione: è lo stadio in cui il fiore viene fecondato diventando un frutticino che si ingrossa fino a raggiungere le dimensioni di 10-15 mm. Molto frequente è il caso in cui un frutticino si forma senza che il polline abbia fecondato l’ovario (partenocarpia); generalmente questo fenomeno interessa il frutto centrale che, a causa dell’assenza dei semi, è più soggetto a cascola, più piccolo ed ha una forma irregolare ed allungata.

Frutto noce: dopo l’allegagione i frutticini cominciano ad ingrossarsi per effetto di un’elevata divisione cellulare, raggiungendo nel mese di giugno una dimensione di 20-30 mm. I frutti comunque rimangono duri, con basso contenuto zuccherino ed elevata acidità.

Ingrossamento frutto: i frutti riprendono ad ingrandirsi per effetto della distensione cellulare, cominciando ad accumulare gli zuccheri, con una diminuzione dell’acidità e con inizio dell’idrolisi dell’amido.

Maturazione: i frutti hanno raggiunto le dimensioni massime, il colore tipico della cultivar di appartenenza ed il giusto equilibrio tra il contenuto zuccherino e l’acidità; a seconda dei gruppi varietali si protrae da metà giugno alla seconda decade di ottobre.

Caduta foglie: si verifica tra i mesi di novembre e dicembre, terminata questa fase entra in riposo vegetativo fino alla primavera successiva.

Il pero predilige climi temperato-freschi e trova il suo ambiente ideale nella pianura padana, mentre rifugge i forti freddi, le elevate temperature estive e la siccità. È una specie esigente in termini di luce e le esposizioni migliori sono a sud, sud est e sud ovest. Freddi invernali con temperature di -15 e -20 °C provocano danni alle gemme a fiore ed al tronco, però l’inverno deve essere tendenzialmente rigido in quanto il fabbisogno in freddo (numero di ore necessarie, ad una temperatura generalmente inferiore a 7 °C da ottobre a marzo, per la rimozione della dormienza invernale) mediamente si aggira intorno alle 800-900 UF (unità di freddo). Le gelate primaverili dei mesi di marzo ed aprile danneggiano gli organi fiorali, compromettendo l’allegagione, e provocando eventuali manipolazioni sui frutticini come ruggine, anelli da gelo, macchie suberose e deformazioni. In estate forti insolazioni causano ustioni sui frutti esposti al sole.


Caratteristiche delle cultivar

Le varietà del pero possono essere differenziate tra loro secondo diversi parametri che vengono descritti in seguito.

Nel pero le cultivar hanno una diversa modalità di fruttificazione secondo l’età delle piante: la varietà William produce generalmente sui brindilli sia su alberi giovani (da 4 a 6 anni) che su quelli adulti (oltre 7 anni di età); Decana del Comizio ed Abate Fetel, su piante giovani, fruttificano sui brindilli mentre su alberi adulti producono sulle lamburde (su branche di due anni); Conference, su alberi giovani, fornisce frutti sia su brindilli che su lamburde, su piante adulte dà i frutti sulle lamburde (sia su branche di due anni che su quelle di età maggiore); Kaiser in entrambi i casi fruttifica sulle lamburde (nelle piante adulte su branche di oltre due anni); Passa Crassana produce sui brindilli su piante giovani e su entrambi i tipi di lamburde su piante adulte.

L’epoca di fioritura nel pero può essere precoce (Butirra Giffard e Coscia), intermedia (Abate Fetel e Passa Crassana) e tardiva (Decana del Comizio, Guyot, Kaiser e William); siccome l’antesi è piuttosto concentrata non trascorrono molti giorni fra le fioriture precoci e tardive.

Le cultivar si distinguono soprattutto per l’epoca di maturazione che può essere estiva precoce (dalla seconda metà di giugno alla fine di luglio), estiva (agosto) ed autunno-invernale (da inizio settembre fino alla seconda decade di ottobre).

Le varietà estive precoci sono Pero di San Pietro (la più precoce), Butirra dell’Assunta, Precoce di Fiorano, Turandot, Etrusca, Tosca, Carmen e Coscia; tra quelle estive le più importanti sono William (cultivar di riferimento del pero, matura nella seconda metà di agosto), Butirra Hardy (sensibile alla ticchiolatura), Guyot e Max Red Bartlett (ottenuta da una mutazione gemmaria della William, la buccia è colorata di rosso); mentre le autunno-invernali sono Cascade, Conference, Abate Fetel, Decana del Comizio, Decana d’inverno (la più tardiva), Kaiser (sensibile alla ticchiolatura), Harrow Sweet (resistente al colpo di fuoco batterico), Passa Crassana e Madernassa.

I fenomeni di partenocarpia sono molto frequenti nel pero, specialmente nelle varietà Butirra Hardy, Conference, Passa Crassana e William.

Il miglioramento genetico si pone degli obbiettivi tra cui: resistenza ai principali parassiti (psilla e colpo di fuoco), sviluppo vegetativo ridotto al fine di aumentare la densità d’impianto, ottenimento di cultivar autofertili per evitare l’impiego degli impollinatori.

Le cultivar si possono distinguere anche per le diverse caratteristiche del pomo; i descrittori principali sono: la pezzatura, che può essere molto piccolo (Pyrus calleyrana, Pero di San Pietro), intermedio (Conference, Anjou, William) e grosso (Passa Crassana); il colore di fondo della buccia, rosso (Red Clapp’s Favorite), giallo (Passa Crassana, William) e verde (Anjou); il sovracolore della buccia, assente, rosa (William), rosso acceso (Red Clapp’s Favorite) e rosso scuro (Max Red Bartlett); la forma del frutto, sferoidale, maliforme (Passa Crassana, Decana d’inverno), doliforme, ovoidale, turbinata (Decana del Comizio), piriforme (Spadona, Guyot), cidoniforme (William), calebassiforme (Abate Fetel) ed oblunga.

Le pere possono avere diverse destinazioni a seconda dell’utilizzo: pere da tavola (rappresentano la maggior parte della produzione), pere da industria (nettari, pere appertizzate in scatola, macedonie), pere da cuocere (vecchie varietà locali, diffuse in zone particolari, come Curato, Madernassa, Martin Secco, Nobile, Spina Carpi), pere da sidro (Pyrus communis subsp. nivalis) e da essiccare.

Relativamente alle pere da tavola, il consumatore richiede i seguenti requisiti: buona pezzatura del frutto, difficile da ottenere nelle cultivar precoci e nelle annate molto produttive perché, di solito, non si diradano i frutti; pomi di forma piriforme, turbinata, cidoniforme e calebassiforme; il frutto non deve presentare rugginosità (tranne Kaiser e Conference), imbrunimenti (Passa Crassana) ed altre alterazioni; generalmente non sono graditi i frutti granulosi ricchi di sclereidi nella polpa (Passa Crassana). Il 66% della produzione italiana è rappresentato dalle varietà William, Conference e Abate Fetel.


Propagazione e portainnesti

La moltiplicazione del pero può avvenire per seme e per parti vegetative nel caso dei portainnesti, mentre le cultivar vengono innestate sul portainnesto prescelto o propagate per talea nel caso di piantine autoradicate.

Il portainnesto franco è ottenuto dai semi del pero selvatico, delle varietà William e Butirra Hardy; le sue caratteristiche sono: buona affinità d’innesto, adattamento a terreni poco fertili, calcarei e siccitosi, ottimo ancoraggio al terreno con un ampio sviluppo delle radici, elevata rusticità e vigoria, tardiva messa a frutto, attitudine pollonifera e disomogeneità degli alberi.

Il cotogno (Cydonia oblonga), propagato generalmente per talea, è il portainnesto più utilizzato nei nuovi impianti di pero in quanto limita la vigoria della pianta, anticipa l’entrata in produzione e conferisce buoni caratteri gustativi ai frutti; tuttavia presenta delle radici superficiali dotate di uno scarso ancoraggio, quindi le piante hanno bisogno di sostegni. Il cotogno presenta due grossi inconvenienti quali la disaffinità d’innesto e la clorosi ferrica in terreni calcarei. Nel primo caso le foglie diventano rosse e cadono precocemente, il punto d’innesto si ingrossa e la pianta cresce con difficoltà arrivando anche alla morte. Per superare la disaffinità tra il cotogno ed alcune varietà come Kaiser e William viene attuata la pratica dell’innesto intermedio, innestando la cultivar prescelta su un’altra affine (Butirra Hardy, Coscia, Passa Crassana), questa, a sua volta, va innestata sul cotogno.

In suoli con presenza di calcare attivo già al 4%, molti di essi destinati alla coltivazione del pero, si manifestano sintomi da clorosi ferrica in quanto il ferro viene immobilizzato dal calcio presente nel terreno; nel paragrafo della concimazione si illustrano le modalità d’intervento.

Le principali tipologie di portainnesti del cotogno sono: EMA, Adams, BA 29 e Sydo.

EMA: è il più diffuso in Italia, induce media vigoria alla pianta, produzioni elevate con frutti di buona pezzatura e precoce messa a frutto. Presenta una parziale disaffinità con le cultivar William e Abate Fetel; è bene impiegarlo in terreni con calcare attivo inferiore al 5%.

Adams: è meno produttivo e vigoroso del EMA, rispetto ad esso anticipa la messa a frutto.

BA 29: è più vigoroso dei precedenti, rispetto ad essi ha una lenta entrata in fruttificazione, una minor produzione ed una pezzatura più elevata. Si adatta bene ai terreni con tolleranza a calcaree e siccità, le radici danno un buon ancoraggio al suolo.

Sydo: è meno vigoroso dell’EMA, ma più produttivo ed affine alle varietà principali; mentre rispetto al BA 29 presenta un calo di pezzatura.

Per ovviare gli inconvenienti del franco e del cotogno sono in via di diffusione le piantine autoradicate (l’intera pianta si origina esclusivamente a partire dalla varietà scelta, quindi non è impiegato il portainnesto) che resistono alla clorosi avendo le caratteristiche del franco, allo stesso tempo sono molto vigorosi ed hanno una messa a frutto tardiva; per questo motivo se ne consiglia l’impiego con cultivar deboli su terreni calcarei.

Attualmente sono in fase di selezione portainnesti clonali di Pyrus calleyrana e Pyrus betulaefolia con lo scopo di ridurre la vigoria, ottenere piante uniformi e più resistenti al freddo ed alle malattie.


Impianto

La coltivazione del pero richiede la scelta di un luogo d’impianto adatto dal punto di vista sia climatico che del suolo. Generalmente il pero si coltiva in zone di pianura, soprattutto su terreni tendenti all’argilloso; deve essere garantito un franco di coltivazione di almeno 60-80 cm, assicurando lo smaltimento delle acque tramite delle scoline: è comunque consigliabile orientare i filari in direzione nord-sud per avere un’illuminazione dell’intera chioma e scegliere appezzamenti esposti a sud, sud-est e sud-ovest.

Il materiale vivaistico deve essere formato da cultivar e portainnesto (anche dalla varietà affine al cotogno nel caso di innesto intermedio e di disaffinità di quella desiderata); è opportuno ricorrere a materiale geneticamente certificato che deve essere esente da virosi. Molte varietà resistono alla ticchiolatura, mentre Harrow Sweet è l’unica dotata di resistenza al colpo di fuoco batterico (uno dei parassiti più pericolosi del pero).

Gli astoni (piante innestate pronte per la messa a dimora) dovrebbero essere alti almeno 100-110 cm, ma non più di 170-180 cm, dal colletto all’ultima gemma lignificata. La distanza tra colletto e punto di innesto dovrebbe essere di 10-15 ed il diametro, misurato 10 cm sopra il punto di innesto, pari ad almeno 10-11 mm. Gli astoni non dovrebbero essere stati cimati ed è opportuno che siano provvisti di rami laterali, per anticipare la messa a frutto.

Il portainnesto impiegato e la forma di allevamento determinano i sesti d’impianto e la densità di piante ad ettaro, con portainnesti ottenuti da cotogno si ottengono piante di taglia ridotta (3-3,5 m di altezza) ad un investimento di 2000-4000 ad ettaro, mentre se molto vigorosi (franco) le distanze d’impianto sono 5 X 3 m con una densità maggiore di 600 piante/ha. Per il pero il rapporto ideale tra l’altezza dell’albero e la distanza tra i filari è 1/1, quest’ultima però aumenta nelle zone del nord Europa a causa della minor luminosità presente, viceversa nelle aree del centro-sud Italia.

Poiché le api e gli altri insetti pronubi non vanno volentieri sui fiori del pero sono necessarie 8-10 arnie ad ettaro; per facilitare il lavoro delle api si possono irrorare sostanze zuccherine alla pianta in fioritura, altrimenti distribuire nel pereto, mediante apposite attrezzature, polline dell’impollinatore oppure mettere il polline in appositi dispensatori posti davanti alle arnie. Le cultivar impollinatrici (in genere William, Conference e Passa Crassana), in misura del 10-15% rispetto a quelle da impollinare, vanno disposte a fila singola, una ogni 6-7 file della varietà prescelta.

Nel frutteto, per una razionale impollinazione, è consigliabile inserire almeno due cultivar diverse, una a fioritura contemporanea a quella da impollinare, l’altra a fioritura di poco anticipata allo scopo di garantire un sufficiente apporto di polline dall’inizio dell’antesi (fioritura). Nel caso in cui in un impianto esistente il numero di impollinatori è scarso si può reinnestare in cima ad alcune piante la varietà impollinante.

Nella scelta delle cultivar, oltre all’autosterilità, bisogna tenere conto delle aree di coltivazione; per esempio, nell’Italia meridionale, si consiglia l’impianto di varietà estive precoci, qualora presentino frutti di sufficiente pezzatura. Nel caso di mercati locali le vecchie cultivar di pero adatte alla cottura soddisfano le richieste di gruppi di consumatori, quindi possono fornire una buona remunerazione del prodotto al frutticoltore. Inoltre va considerato che le varietà a buccia rossa possono avere delle problematiche come una colorazione della buccia instabile, alternanza di produzione ed uno scarso vigore vegetativo.

In precedenza alla preparazione dell’impianto va effettuato un campionamento del terreno per svolgerne l’analisi, che fornisce indicazioni utili per la formulazione della concimazione d’impianto, il tipo di lavorazione da eseguire, sul materiale da utilizzare e sulla eventualità di apportare ammendanti al suolo.

Una volta effettuate tutte queste scelte bisogna svolgere le operazioni precedenti la messa a dimora quali:

-livellamento ed eventuale spietramento del terreno;

-lavorazione a doppio strato tramite ripuntatore che incide il terreno, non ribaltando zolle, ad una profondità di 70-100 cm, seguita da una normale aratura di 30-50 cm in modo da non portare in superficie materiale inerte;

-fertilizzazione d’impianto con letame in dosi di 500-600 q/ha e concimazione con fosforo e potassio con almeno 150-200 kg/ha ( anidride fosforica e ossido di potassio) di entrambi;

-nel caso di terreni soggetti a ristagno idrico, formazione di una rete scolante mediante fossi;

-affinamento del terreno;

-tracciamento dei sesti e picchettatura.

La messa a dimora degli astoni generalmente viene eseguita in novembre in modo tale che possano beneficiare delle piogge autunnali; talvolta al nord Italia si preferisce piantumare a marzo per evitare danni da freddo invernali.

Le buche, larghe e profonde circa 40 cm, vengono realizzate a mano o con trivella azionata da un trattore. Sul fondo si può porre del concime con un dosaggio 50-100 g per pianta (soprattutto fosforo che stimola l'attività radicale e riduce i rischi di crisi di trapianto) e del terreccio costituito da sabbia fine di fiume, sostanza organica (ad esempio 20% di torba e 30% di letame). Subito dopo la messa a dimora è consigliabile irrigare gli astoni con circa 5 litri di acqua.

In seguito, a seconda della forma d’allevamento, si costruisce l’impalcatura, posando i tutori di ferro per ogni piantina, piantando i pali e tirando i fili.

Nel caso dell’impianto di un frutteto familiare si utilizzano portainnesti franchi o dotati di un vigore medio alto perché, nonostante una tardiva entrata in produzione, garantiscono un ottimo ancoraggio al terreno, un apparato radicale ben sviluppato ed una buona resistenza alla siccità. Rispetto agli impianti fitti le dimensioni della buca sono 60 X 60 cm con una profondità di 70-80 cm; le piantine inoltre necessitano solo del sostegno di un paletto, limitatamente ai primi anni.

Tenere l’interfilare inerbito è importante perchè arricchisce il terreno di sostanza organica (minor sensibilità alla clorosi ferrica) derivante sia dal rapido e naturale rinnovarsi delle radici delle erbe, sia dal materiale lasciato sul posto dalle operazioni meccaniche di trinciatura, permette lo svolgimento di eventuali pratiche colturali dopo una pioggia, cosa non possibile su un terreno argilloso lavorato.


Forme di allevamento

Nel pero i sistemi impiegati in passato erano la piramide, (costituita da branche inserite a spirale lungo il tronco, la loro lunghezza è decrescente andando dal basso verso l’alto, il portainnesto utilizzato è il franco con piante che raggiungono anche 15 m d’altezza) il vaso classico e la palmetta regolare a branche oblique.

La tendenza attuale è di realizzare pareti di vegetazione continue con altezza non superiore a 2,5-3,5 m per agevolare le operazioni colturali, aumentare le produzioni e migliorare la qualità dei frutti.

Oggi le forme di allevamento impiegate sono il fusetto, il cordone verticale (in volume), la palmetta libera e l’ipsilon trasversale (appiattite); generalmente tutte necessitano dell’impalcatura (tutori di ferro, pali e fili).

Il fusetto asseconda il portamento naturale della pianta, è costituito da uno scheletro costituito da un tronco libero da vegetazione nei primi 70-90 cm di altezza. Le branche primarie sono numerose, si inseriscono a spirale, con un angolo d’inserzione più stretto rispetto al melo (nel pero branche troppo aperte hanno una vegetazione stentata), lungo l’asse principale, distanti tra loro 30-50 cm ed hanno una lunghezza decrescente andando dalla base alla cima; la pianta assume una forma conica (equivale alla piramide con taglia ridotta, ricorrendo ai cotogni come portainnesto) ed ha un’altezza di 2,5-3 m e comincia a produrre frutti al 3-4° anno. I sesti d’impianto sulla fila sono da 1 a 1,5 m e tra le file variano da 3,5 a 4 m, con una densità compresa tra 1600 e 2800 piante/ha. Il fusetto migliora l’illuminazione della chioma, la qualità del prodotto e la facilità di esecuzione delle pratiche colturali; è la forma ideale con piante a vigore contenuto.

Il cordone verticale è costituito da un asse centrale sul quale si inseriscono a spirale numerose branchette poco vigorose e rinnovabili, gli astoni sono provvisti di rami laterali poco sviluppati. La rapidissima entrata in produzione (2-3° anno) e la competizione radicale favoriscono il contenimento dello sviluppo della parete continua produttiva che non deve superare i 2,30-2,50 m in altezza; questa forma necessita di un impianto d’irrigazione. Questi impianti sono superintensivi e vengono impiegati i portainnesti cotogno più deboli come Adams e Sydo, i sesti d’impianto sulla fila sono da 0,7 a 1 m e tra le file variano da 3 a 3,5 m, con una densità compresa tra 2800 e 4600 piante/ha.

La palmetta regolare a branche oblique, diffusa nella pianura padana, è costituita da un fusto sul quale, a 60 cm dal suolo, si inserisce il primo palco di due branche, disposte lungo il filare, esse hanno un angolo di inserzione di 45-55°. In tutto i palchi sono 3-4, il secondo è inserito a 100 cm dal primo, la distanza tende a diminuire tra i palchi successivi. Una variante di questa forma è la palmetta libera, caratterizzata dalla presenza di 6-10 branche inserite irregolarmente sul fusto ed orientate lungo il filare, sono meno lunghe e più strette rispetto alla palmetta regolare a branche oblique, in quanto si rispetta l’inclinazione naturale; l’entrata in produzione si ha al 4-5° anno e la pianta è alta 3-3,5 m. Il sesto d’impianto in genere è 3,5 X 2, con una densità pari a 1400 piante/ha.

L’ipsilon trasversale è costituito da due branche inclinate a V ed in direzione ortogonale rispetto al filare, l’angolo d’inclinazione rispetto alla verticale è di 30-40°; sulla struttura principale si inseriscono le branchette o direttamente le lamburde che produrranno i frutti. I sesti d’impianto sulla fila sono da 0,8 a 1,2 m e tra le file si aggirano intorno ai 4-4,5 m, con un investimento compreso tra 1800 e 3000 piante/ha. Con questo sistema è possibile mantenere un sensibile incremento della produzione mantenendo un elevato standard qualitativo, però si riscontrano maggiori costi delle operazioni colturali.

La forma di allevamento idonea per un frutteto familiare è il vaso classico il cui scheletro è costituito da un tronco sul quale si inseriscono a 0,6-0,8 m d’altezza tre branche principali che hanno un’inclinazione di 35-45° rispetto al fusto e sono egualmente distanziate tra di loro; viene lasciata libera la parte interna al fine di ottenere un’ottima intercettazione della luce. Le branche primarie sono rivestite esternamente da vegetazione secondaria la cui lunghezza diminuisce dalla base fino alla cima in modo che si distribuiscano nello spazio per ricevere uniformemente la luce, su queste si sviluppano le branchette terziarie portanti le formazioni fruttifere; la produzione non si otterrà prima del 5-6° anno. La distribuzione della vegetazione su più assi consente una buona illuminazione ed un elevato volume della chioma che facilita il mantenimento di equilibrio tra attività vegetativa e riproduttiva, ottenendo frutti di ottima qualità. La distanza tra le piante non deve essere inferiore ai 5 m, qualora si ricorra al portainnesto franco; nel caso in cui si usa il cotogno può essere mantenuta una distanza di 3 m.


Potatura

La potatura nel pero comincia quando le piante sono ancora giovani (potatura di allevamento); una volta formata la parte aerea, la pianta è adulta ed ha raggiunto un equilibrio tra vegetazione (produzione di legno) e riproduzione (produzione di fiori e frutti) che deve essere mantenuto con la potatura di produzione.

A partire dalla messa a dimora degli astoni fino al completamento della forma desiderata (3-4 anni) si esegue la potatura di allevamento, avente lo scopo di assicurare il più rapido sviluppo della struttura scheletrica del pero in rapporto al sistema prescelto, di favorire una miglior illuminazione delle foglie e di ottenere la più rapida messa a frutto delle giovani piante. Durante i primi anni di vita le piantine necessitano di una massima superficie fogliare per ricostituire le riserve di carboidrati, di cimature per stimolare maggiormente le ramificazioni laterali (nel caso del cordone verticale cimare sempre la nuova vegetazione in prossimità del fusto per dare alla pianta una forma colonnare) ed gli eventuali frutti devono essere diradati in quanto sottraggono sostanze nutritive all’attività vegetativa. Nelle forme di allevamento in cui gli astoni sono provvisti di rami laterali guadagnano un anno relativamente alla formazione dello scheletro della pianta, nel caso di scarsa ramificazione effettuare delle incisioni sul fusto per impedire il deflusso della linfa a favore delle strutture poste al di sopra dell’incisione stessa.

La potatura di produzione consente il ricambio annuale di una quota adeguata di legno fruttificante.

Eseguita nel periodo invernale, per tutta la vita produttiva del frutteto, ha lo scopo di far raggiungere alla pianta il massimo potenziale produttivo, con una fruttificazione costante e una migliore qualità dei frutti. Nel pero è importante lasciare un giusto carico di gemme in quanto, a differenza del melo, non si effettua il diradamento dei frutti; siccome le formazioni fruttifere invecchiano rapidamente deve essere eseguito un rinnovamento di esse più veloce rispetto al melo. Nel pero bisogna tener conto delle differenti modalità di fruttificazione delle cultivar, di seguito si illustrano i criteri di potatura relativi alle principali varietà.

Nel caso delle cultivar William e Kaiser viene effettuata una potatura lunga, che consiste nell’eliminazione di circa la metà dei rami a frutto che hanno già prodotto per favorire il rinnovo. Per le varietà Abate Fetel, Decana del Comizio, Conference e Passa Crassana si esegue una potatura corta, raccorciando le formazioni fruttifere in modo da lasciare poche gemme. Le parti vegetative esaurite vanno asportate completamente su tutte le cultivar.

Gli eventuali tagli di risanamento servono per l’eliminazione di tutte le porzioni danneggiate da fattori parassitari o ambientali, questa operazione è di particolare importanza perché influisce positivamente sullo stato sanitario degli alberi.

Gli interventi di potatura verde si eseguono a fine giugno-inizio luglio con l’eliminazione dei succhioni, arieggiando l’interno della chioma e migliorandone l’illuminazione.

La potatura meccanica, eseguita con macchine dotate di organi di taglio raccorciano le branchette mentre avanzano, fornisce risultati interessanti, soprattutto se integrata con la rimozione manuale delle parti interne della parete vegetativa; rispetto alla potatura manuale si riscontrano: una produzione di poco superiore con un calo di pezzatura dei frutti, elevata presenza di gemme miste ed una forte riduzione dei tempi di lavoro che con i mezzi è pari a 10 ore ad ettaro.


Concimazione

Un’adeguata disponibilità di elementi nutritivi consente di ottenere una produzione elevata,

costante negli anni e di buona qualità; quindi la concimazione deve mantenere un adeguato livello di fertilità del terreno, in modo da permettere un'equilibrata nutrizione delle piante, senza causare effetti negativi sull'ambiente.

Tramite la concimazione sono apportati al suolo i principali elementi minerali, fondamentali per lo sviluppo e la produzione delle piante, quali l’azoto, il fosforo, il potassio ed il calcio; di questi bisogna reintegrare le asportazioni annuali, rispettivamente 70-100 kg/ha, 20-35 kg/ha, 100-130 kg/ha e 180-200 kg/ha (riferite ad una produzione di 300 q/ha).

L’azoto regola lo sviluppo vegetativo ed influisce sulla produzione, se si utilizza il cotogno come portainnesto il pero è più esigente del melo quindi si possono somministrare dosaggi superiori alle asportazioni, senza che la qualità e la conservazione dei frutti ne risentano. Nella cultivar Passa Crassana l’azoto aumenta il contenuto zuccherino ostacolando l’imbrunimento all’interno dei frutti, mentre su William asseconda le caratteristiche gustative e merceologiche idonee all’inscatolamento.

Nella fase di allevamento la concimazione deve favorire lo sviluppo delle piante per completare rapidamente la struttura scheletrica, senza però stimolare troppo l’attività dei germogli perché ciò ridurrebbe la lignificazione degli stessi e ritarderebbe l’entrata in fruttificazione degli alberi.

In questa fase va dato solo l’azoto, somministrandolo alla dose di 50-100 g per pianta in 2-3 riprese durante il periodo aprile-giugno, localizzandolo intorno alla pianta a breve distanza dal fusto evitando però il diretto contatto con esso al fine di non provocare ustioni.

In fase di produzione la somministrazione di azoto va frazionata in due interventi: a fine estate, dopo la raccolta, per favorire l’accumulo delle sostanze di riserva che verranno utilizzate per sostenere dalla successiva ripresa vegetativa fino ad allegagione avvenuta; in prossimità dello stadio dei bottini fiorali perchè la pianta assorbe ed utilizza efficacemente l’azoto presente nel terreno solo nel periodo di formazione e maturazione dei frutti.

Il fosforo stimola l’attività delle radici, può scarseggiare in suoli con calcaree attivo superiore al 5% in quanto tende ad essere insolubilizzato, in questi casi si interviene annualmente con dosaggi di poco superiori alle asportazioni in autunno (insieme al potassio).

Il potassio nel pero influenza il contenuto zuccherino, il turgore, la pezzatura e la colorazione del frutto; i terreni argillosi in genere sono ben riforniti di questo elemento, l’elevato contenuto di potassio riduce la clorosi in quanto rende il ferro più disponibile. Nel caso di suoli sciolti la concimazione fosfo-potassica va effettuata a fine febbraio per evitare fenomeni di lisciviazione a carico del potassio.

Il pero innestato su cotogno su terreni calcarei manifesta fenomeni di clorosi ferrica perchè il ferro è insolubilizzato dal calcaree attivo presente nel suolo; Abate Fetel è una cultivar molto sensibile, si nota un ingiallimento fogliare omogeneo o completo. La clorosi ferrica può causare una diminuzione della fotosintesi con riduzione di pezzatura, cascola, precoce e scadente qualità dei frutti. Per evitare i danni ove possibile utilizzare portainnesti franchi o piante autoradicate che resistono alla clorosi in virtù delle radici espanse e del forte vigore vegetativo; nel caso in cui viene impiegato il cotogno scegliere il portainnesto più resistente (BA 29) e, se necessario, somministrare chelati di ferro (a lento rilascio).

Il calcio è molto importante nelle prime fasi di assorbimento dei frutti, per cui è bene non avere eccessi di potassio nel terreno al fine di favorire l’assorbimento di questo elemento; è somministrato in post-raccolta per via fogliare perché ha una buona efficacia contro le fisiopatie.

Mediante la concimazione fogliare si possono integrare i microelementi ai nutrienti principali che hanno un’azione fertilizzante pronta, essendo disciolti in acqua ed assorbiti dalle foglie. Questa modalità di somministrazione, integrata alla normale fertilizzazione eseguita al terreno, è particolarmente utile in casi di clorosi e sofferenza delle piante.

Durante le fasi di fioritura ed allegagione, visto che la partenocarpia è molto frequente nel pero, è possibile intervenire con dei fitoregolatori che favoriscono la formazione dei frutti, ovviamente privi di semi.


Irrigazione

Questa pratica è adottata nel caso in cui si ricorre all’impiego di piante innestate su cotogno, per cui in impianti a media-elevata densità di piante/ha; l’irrigazione aumenta la quantità di pere prodotte e la loro pezzatura, mentre non influisce in modo significativo sulla qualità.

Una corretta gestione dell’irrigazione permette il rallentamento dello sviluppo dei germogli senza compromettere l’accrescimento dei frutti; la tecnica del "deficit idrico controllato" è applicata negli impianti intensivi perché i cotogni sono dotati di radici superficiali che non si approfondiscono. Questa tecnica è particolarmente efficace 40-50 giorni dopo la fioritura quando la competizione fra frutti e germogli è particolarmente forte.

Effettuare interventi frequenti con bassi volumi irrigui è fondamentale perché alcune cultivar (William, Conference, Kaiser, Decana del Comizio e Passa Crassana) sono soggette al brusone del pero, con le foglie che in estate disseccano e successivamente cadono al suolo; questo fenomeno è dovuto a squilibri idrici, al caldo ed ai primi innalzamenti di temperatura (25 °C per alcuni giorni).

I sistemi d’irrigazione impiegati nel pero sono ad aspersione (a pioggia) o a microportata (a goccia o a spruzzo).

Il primo è diffuso in zone con buone disponibilità idriche, l’irrigazione a pioggia consente di contrastare gli attacchi di psilla, l’insetto più pericoloso per il pero, tramite il lavaggio della pianta, che riduce i residui di fitofarmaci sul frutto. La problematica principale è rappresentata dall’elevata umidità nel frutteto, questo può favorire l’insorgenza dei parassiti.

L’irrigazione a goccia offre molti vantaggi per l’elevata efficienza di uso dell’acqua (il 90% dell’acqua somministrata è utilizzata dalle piante), per la non bagnatura delle foglie degli alberi, che potrebbe favorire l’attacco di alcuni patogeni, per la minore o assente percolazione e quindi per il ridotto dilavamento degli elementi nutritivi e per il contenimento dello sviluppo di infestanti venendo bagnate solo piccole porzioni di terreno. Si può ricorrere inoltre alla fertirrigazione per rigenerare le caratteristiche nutritive del terreno esplorato dall’apparato radicale della pianta in una zona ristretta e limitata con conseguente esaurimento della capacità nutrizionale.

L’irrigazione a spruzzo prevede la stessa tecnica dell’impianto a goccia con ali spruzzanti in questo caso posate sui tiranti di sostegno dei filari.

Lo spruzzatore può essere collocato sia sopra che sottochioma, in funzione delle esigenze specifiche. Posizionato soprachioma ha anche un effetto climatizzante, ma con notevoli perdite di acqua per intercettazione fogliare ed evaporazione, ma ha il vantaggio che può funzionare come sistema antibrina, molto utile soprattutto nella pianura padana e nelle zone di fondovalle in quanto l’acqua, con temperature vicine a 0 °C, ghiaccia svolgendo un’azione protettiva contro eventuali ristagni di area fredda in prossimità della fioritura.


Raccolta

Se i frutti sono raccolti al momento opportuno vengono esaltate le loro caratteristiche qualitative e la loro conservabilità; l’epoca ottimale di raccolta è individuata facendo riferimento a diversi indici di maturazione tra cui: la durezza della polpa, misurata con strumenti chiamati “penetrometri”; il residuo secco rifrattometrico (RSR, esprime il contenuto zuccherino), determinato con un rifrattometro; il contenuto in amido della polpa, che si stima immergendo i frutti spaccati a metà in una soluzione di iodio-ioduro di potassio; i giorni che intercorrono dalla piena fioritura alla maturazione (per Conference 130-135, per Decana del Comizio 140-145). Per meglio stabilire l’epoca ottimale di raccolta è buona norma non riferirsi ad un solo indice di maturazione, ma considerarne diversi contemporaneamente; alcuni di essi possono poi essere combinati tra di loro per ottenere indici composti come ad esempio il rapporto RSR/acidità.

La raccolta troppo anticipata, abbinata ad una conservazione troppo prolungata, provoca un blocco della maturazione con mancato intenerimento della polpa, scarsa succosità e poco aroma; una raccolta più tardiva migliora le qualità organolettiche dei frutti con residuo rifrattometrico maggiore, succosità, buon aroma permettendo anche una produzione più elevata.

Il giusto momento di raccolta è importante anche per le pere destinate all’industria degli sciroppati e per quelle frigoconservate.

Nel pero la raccolta è l'operazione colturale più onerosa, può essere manuale oppure integrata, cioè eseguita mediante l’ausilio di carri raccolta su cui si dispongono parte degli operatori, soprattutto con forme d’allevamento dotate di un’alta parete produttiva, in primis la palmetta ma anche il fusetto.

In entrambi i casi, i frutti raccolti vengono posti in cassette poste su bancale (pallet) o, meglio, in cassoni palettizzati sollevabili da un elevatore a forche montato sulla trattrice; un bravo raccoglitore ha una resa media oraria di frutti raccolti pari a 150-200 kg/h.

Dal punto di vista commerciale le pere sono classificate in base al diametro dei frutti e dall’assenza di difetti come danni da grandine, maculatura, imbrattamenti da psilla e ruggine.


Pero - Pyrus communis: I principali parassiti ed il loro controllo

I principali parassiti del pero, con i danni da essi provocati e le eventuali modalità di contenimento, si possono sintetizzare come segue.

Colpo di fuoco batterico del pero (Erwinia amylovora): è un batterio che colpisce tutti gli organi della pianta; favorito da elevata umidità, piogge, temperature comprese tra 18 e 24 °C. Sui germogli colpiti compaiono delle zone necrotiche brunastre che provocano un annerimento dell’asse del germoglio, delle foglie e dei fiori o dei frutticini a seconda della fase fenologica; i germogli in seguito avvizziscono incurvandosi. Il batterio penetra attraverso lesioni presenti sugli organi legnosi, negli stomi e nei fiori. I mezzi di lotta contro questa malattia sono legislativi e chimici, i primi impediscono il passaggio in un altro stato del materiale infetto che deve essere eliminato; gli interventi chimici sono obbligatori e preventivi mediante prodotti di copertura (rame), specialmente in ambienti vivaistici, perché il pericolo principale è la propagazione effettuata con materiale infetto. Attualmente l’unica varietà di pero resistente a questo patogeno è Harrow Sweet.

Maculatura bruna del pero (Stemphylium vesicarium): è un fungo che attacca le foglie ed i frutti, favorito da periodi umidi e piovosi di inizio estate. Sulle foglie si notano macchie irregolari brunastre che necrotizzano, sui frutti si manifestano tacche brunastre infossate, con alone di color arancio-rossiccio; il danno è causato da una tossina prodotta dal fungo che scatena fenomeni di marciume dalla polpa fino ai semi. Questa malattia va contrastata in primis raccogliendo i frutti colpiti sulla pianta o a terra, evitando irrigazioni a pioggia e mantenendo il frutteto in un buono stato sanitario e nutrizionale. Il fungo si combatte utilizzando prodotti antiticchiolatura, sia di copertura che sistemici, dotati di un’azione collaterale contro la maculatura bruna. Specialmente su cultivar sensibili come Abate Fetel, Conference e Decana del Comizio intervenire con turni più o meno settimanali tra la fase di fine fioritura e la raccolta; i trattamenti vanno effettuati alla comparsa dei primissimi sintomi, altrimenti i frutti sono compromessi.

Ticchiolatura del pero (Venturia pyrina): si tratta di un fungo che colpisce le foglie, i germogli e soprattutto i frutti; favorito da piogge, umidità elevata e bagnature prolungate. L’attacco sui frutticini è generalmente grave in quanto su di essi si manifestano tacche necrotiche brunastre che ne bloccano lo sviluppo con successiva cascola; sul frutto in post-allegagione le tacche suberificano, impedendo l’accrescimento per distensione cellulare del frutticino, soggetto a lacerazioni ed a successive deformazioni. Per contrastare la ticchiolatura si ricorre all’impiego di fungicidi di copertura (prodotti a base di rame), dotati di un’azione preventiva, agiscono all’esterno dei tessuti e non sono in grado di bloccare le infezioni in atto, e di fungicidi sistemici, che esplicano un’azione curativa: vengono infatti assorbiti dalla pianta, evitando il dilavamento e traslocati in tutte le sue parti. Generalmente si utilizzano insieme in quanto i prodotti sistemici; se applicati da soli o con una frequenza esagerata, possono instaurare fenomeni di resistenza nel fungo. Tuttavia è importante ricordare che la ticchiolatura del pero ha un grado di attacco (leggero, moderato, grave) variabile di anno in anno. Dalla fase di rottura delle gemme fino a quella di mazzetti affioranti si esegue un trattamento con prodotti rameici; oltre a combattere i cancri rameali (Nectria), ha un effetto disinfestante preventivo nei confronti della ticchiolatura. Dalla prefioritura fino allo stadio di frutto noce si interviene utilizzando fungicidi di copertura e sistemici in prossimità di ogni evento infettante.

I trattamenti vanno effettuati entro pochi giorni dall’inizio della pioggia; in caso di precipitazioni abbondanti si esegue un intervento a settimana in quanto esse diminuiscono la persistenza del prodotto. Nel caso fosse necessario intervenire dopo la fase di frutto noce si ricorre a prodotti di copertura perché quelli sistemici non vengono assorbiti dai frutti. Il modo migliore per limitare questa malattia è l’impiego di varietà resistenti ad essa.

Cancro delle pomacee (Nectria galigena): fungo che attacca le giovani branche ed i rami delle piante; favorito da elevata umidità, da microlesioni dovute al distacco delle foglie e da ferite causate da insetti, grandine o potatura. Le zone corticali delle parti legnose colpite inizialmente si disidratano, in seguito necrotizzano con formazione di vere e proprie fessurazioni con messa a nudo dei tessuti sottostanti (cancri longitudinali). La reazione della pianta provoca rugosità nei tessuti infetti: il cancro può estendersi a tutta la circonferenza e causa un indebolimento della pianta che risulta maggiormente suscettibile ad altre malattie. Con la potatura invernale vanno eliminati i rami colpiti; il periodo a maggior rischio d’infezione è l’autunno, durante il quale cadono le foglie e possono verificarsi grandinate. Si impiegano prodotti rameici eseguendo due interventi: il primo a metà delle foglie cadute ed il secondo a completa defogliazione. Un trattamento effettuato ad inizio primavera tra la rottura delle gemme e la fase di orecchiette di topo, oltre a contrastare la ticchiolatura e le cocciniglie, esplica un’azione disinfettante sulla Nectria.

Psilla del pero (Psylla pyri): si tratta di un insetto che colonizza generalmente i germogli, le giovani foglie e i giovani rami; può compiere fino a 6-7 generazioni l’anno. Le punture di nutrizione provocano deformazioni ed arresti vegetativi di foglie e germogli, mentre l’emissione di abbondanti secrezioni zuccherine (melata) determina asfissia degli organi verdi, che sono soggetti a scottature, l’insorgenza di alcuni funghi (fumaggine) i quali riducono l’efficienza fotosintetica e rende i trattamenti meno efficaci. Per contrastare questo fitofago vengono adottate strategie di lotta integrata; si interviene solo al superamento delle soglie d’intervento, tenendo conto della presenza dei nemici naturali. I campionamenti sono fatti su germogli, sui frutti o sui mazzetti fiorali, se si riscontra la presenza di melata o diversi getti infestati bisogna intervenire con prodotti efficaci anche nei confronti di altri fitofagi del pero. La lotta contro la psilla, la carpocapsa ed i ricamatori è eseguita con regolatori di crescita o prodotti biologici (Bacillus thuringiensis), limitando l’uso di insetticidi che abbasserebbe la popolazione dei nemici naturali.

Cocciniglia di San Josè (Comstockaspis perniciosa): è un insetto che si insedia su parti legnose, foglie e frutti; compie tre generazioni all’anno. Sulle parti legnose si notano alterazioni cromatiche rossastre che conducono a progressivi deperimenti e disseccamenti dei rami. Sui frutti si manifestano tante macchie rossastre, al cui centro c’è un puntino grigio, sparse su tutta la superficie o concentrate in alcuni punti; queste chiazze determinano il deprezzamento e l’esportazione verso l’Europa, dove la presenza del fitofago non è ancora esagerata. Gli interventi chimici sono obbligatori perché questo insetto può compromettere la commercializzazione della frutta colpita anche con pochi puntini. Il primo trattamento si esegue alla rottura delle gemme con i polisolfuri, distribuiti solo in questa fase perché sono tossici per la vegetazione, se già presente; in corrispondenza dell’uscita degli stadi giovanili di ogni generazione si deve intervenire tempestivamente con gli esteri fosforici. Un parziale controllo di questo fitofago può essere esercitato dai nemici naturali, ad esempio le coccinelle.

Carpocapsa (Cydia pomonella): si tratta di un insetto che colpisce i frutti; compie 2-3 generazioni all’anno, soltanto una in alcune zone dell’Europa centro-settentrionale. Le larve, in qualsiasi momento dell’accrescimento e della maturazione del frutto, scavano gallerie nella polpa e, una volta uscite, attaccano altri pomi; quelle di 2^ e 3^ generazione sono molto pericolose in quanto operano da luglio a settembre-ottobre a seconda degli ambienti. Il danno provocato dalle larve è la cascola dei frutti colpiti che non possono essere commercializzati. Il monitoraggio si esegue a fine aprile ponendo 2-3 trappole di feromoni sessuali ad ettaro; se vengono catturati più di due maschi adulti per trappola per settimana si può intervenire con prodotti chimici, soprattutto per contrastare le larve di 2^ e 3^ generazione. È opportuno ricorrere agli insetticidi solo se necessario perché tendono a favorire le infestazioni di acari fitofagi, eliminando i nemici naturali. Il metodo della “confusione”, che si basa sull’impiego di erogatori di feromoni aventi lo scopo di ridurre gli accoppiamenti tra maschi e femmine adulti, ha dato risultati interessanti. In natura sono presenti nemici naturali della Carpocapsa, tra cui delle minuscole vespe che depongono uova nella pupa (fase di passaggio tra la larva e l’adulto) dell’insetto nutrendosene.

Tentredine o oplocampa del pero (Hoplocampa brevis): è un insetto che attacca i frutti; compie una generazione all’anno. Le larve scavano gallerie nei frutticini uscendo da essi attraverso un tipico foro tondeggiante posto in prossimità della cavità calicina; i frutti arrestano lievemente il loro sviluppo ed in seguito cadono a terra. Il monitoraggio viene fatto posizionando alla prima metà di marzo due trappole cromotropiche bianche ad ettaro, se le catture superano 10-20 adulti per trappola si interviene; di solito dopo la fioritura si tratta con prodotti chimici in grado di combattere i ricamatori.

Ricamatrice delle pomacee (Pandemis cerasana): è un insetto che colpisce germogli, foglie e frutticini; compie due generazioni all’anno. Le larve causano erosioni sui germogli che possono andare incontro alla completa distruzione, i frutticini possono andare incontro a cascole oppure ad accrescimenti irregolari. Sui frutti già ingrossati si notano delle erosioni superficiali somiglianti a ricami, in seguito queste suberificano e rimane il segno dell’attacco. In prefioritura, è bene trattare al superamento della soglia del 20% di germogli infestati. Il monitoraggio si effettua a maggio ponendo una trappola di feromoni sessuali ad ettaro; se in una o due settimane si catturano più di 15 adulti (più di 30 se si considerano altri insetti ricamatori) e se i germogli infestati sono più del 4% si interviene con prodotti chimici o col Bacillus thuringiensis contro le larve. I nemici naturali di questo insetto sono molti, però non riescono a controllarne la popolazione al di sotto della soglia di danno.

Ragnetto rosso comune (Tetranychus urticae): è un acaro che colpisce le foglie; compie 8-10 generazioni l’anno. Sulle foglie compaiono aree argentee e clorotiche, successivamente cadono. Attacchi in presenza di condizioni climatiche caldo-siccitose con carenze idriche provocano il brusone del pero, con gravi disseccamenti e necrosi della vegetazione in estate. Nel caso in cui si riscontri sulle foglie un’infestazione del 50-60% si interviene con prodotti acaricidi; con le cultivar sensibili al brusone il trattamento è giustificato dalla sola presenza di alcuni acari se le temperature oltrepassano i 28 °C. I nemici naturali del ragnetto rosso comune sono molti, tra cui gli acari fitoseidi ed alcuni insetti come le coccinelle; è una buona pratica limitare al massimo trattamenti con acaricidi ed insetticidi al fine di preservarne la popolazione.


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